Lombardia: la missione in Sud America di Bertolaso per importare infermieri

Una carenza sempre più importante quella che si registra a livello nazionale per quanto riguarda gli infermieri e, in Lombardia, il fenomeno assume margini ancora più importanti.

E’ notizia di questi giorni che l’Assessore al Welfare della Regione Lombardia, Guido Bertolaso, abbia organizzato un viaggio in Sud America per gli inizi di Aprile per stabilire accordi per importare infermieri proprio in Lombardia.

Il presidente del Nursing Up, Antonio De Palma, ha analizzato questa situazione in un comunicato stampa, affermando: “Non possiamo che continuare a giudicare controversa e paradossale la politica adottata da regioni come la Lombardia, che proseguono nel proprio percorso finalizzato a tappare le falle della carenza infermieristica, palesemente riconosciuta come il deficit prioritario da sanare,  anche dall’atto di indirizzo del Comitato di Settore in vista dell’inizio delle trattative contrattuali, avviando vere e proprie “missioni all’estero”, stile calciomercato, per ingaggiare professionisti stranieri.

Sia chiaro una volta per tutte, non abbiamo nulla contro gli operatori sanitari del Sudamerica che l’assessore al Welfare, Guido Bertolaso, “si ostina” a voler portare in Italia da mesi, ma non possiamo assolutamente immaginare che sia questa la sanità del presente e del futuro che attende noi, i nostri cari, e tutta la collettività.

Prima di tutto riteniamo, vedi gli esempi dei professionisti arrivati a dicembre scorso e ingaggiati dall’azienda sanitaria di Varese, che non siano assolutamente sufficienti quattro settimane di corso di italiano, per preparare al meglio infermieri che, arrivati da paesi come Perù e Argentina, totalmente a digiuno della nostra lingua, nonché delle nostre normative sanitarie, vengono a nostro avviso “gettati nella mischia”, solo per coprire una voragine di operatori sanitari che vede oggi la Lombardia al primo posto (10mila infermieri mancanti all’appello) in Italia, accanto alla Campania.

Ribadiamo con forza che svolgere il ruolo di professionista dell’assistenza, nella realtà sanitaria di casa nostra, più che mai in questo momento storico, a contatto con soggetti fragili, negli ospedali o nelle RSA lombarde, così come in altri territori, e con le urgenze legate al fabbisogno di una popolazione italiana che viaggia sempre di più verso l’invecchiamento e l’inevitabile presa in carico di patologie croniche, non solo non è affatto semplice, ma richiede un periodo di adattamento e formazione che non può essere così breve.

Ce li siamo immaginati più volte a lavoro nelle equipe sanitarie, e abbiamo ipotizzato, senza esagerazione, che le loro carenze, gioco forza, rischiano di diventare ogni giorno un ulteriore macigno da portare sulle spalle per i colleghi italiani, chiamati a un non indifferente surplus di lavoro per supervisionare le loro eventuali difficoltà.

La nostra non vuole essere una condanna ma una serena analisi, in relazione a un sistema, quello  sanitario italiano, dove la politica di Governo e Regioni non può continuare a procrastinare la valorizzazione dei nostri professionisti».

E’ impensabile formare fior di professionisti come i nostri, con i costi che ciò comporta, avviarli alle più disparate specializzazioni, e permettere poi che fuggano all’estero, nel caso della Lombardia attratti sempre più dalla vicina Svizzera, nonché dalle nuove proposte economiche di paesi come Regno Unito, Germania e Olanda, che hanno decisamente alzato il tiro, arrivando a mettere sul piatto molto di più di quello che offrivano fino a qualche anno fa.

L’Assessore Bertolaso, invece, con il quale pure abbiamo cercato di costruire, come abbiamo sempre fatto con tutti gli esponenti politici, un confronto sereno e proficuo in occasione della nostra manifestazione di Milano di maggio 2023, continua nelle sue “spedizioni” in America Latina, convinto che questa sia la soluzione ideale per permettere alla Lombardia di sanare la carenza di personale.

Rimane prima di tutto il legittimo dubbio, consentitecelo, su titoli di studio che non necessitano, come in passato, di eventuali esami integrativi. Infatti, con le note assunzioni in deroga, il decreto-legge n. 18/2020, convertito nella legge n. 27/2020, aveva introdotto una procedura semplificata per l’assunzione di infermieri stranieri durante l’emergenza COVID-19, ora procrastinata fino al 31 dicembre 2025 proprio per coprire le carenze di personale.

In parole povere anche per i titoli professionali conseguiti nei paesi extra europei non occorrono oggi esami integrativi per esercitare la professione nel nostro sistema sanitario.

La Regione Lombardia, per carità, sta mettendo in atto, come avvenuto per i primi infermieri sudamericani arrivati a dicembre, corsi di lingua italiana con enti accreditati, ma bastano davvero solo quattro settimane?

Un ulteriore dubbio, poi consentitecelo, va posto.

Ma siamo così certi che dopo mesi a contatto con la complessa realtà sanitaria italiana e le sue palesi difficoltà, non accadrà che molti di questi infermieri stranieri, paradossalmente, non decidano di lasciarci al pari dei nostri, per approdare anch’essi in Paesi con una sanità decisamente più attrattiva come la vicina Svizzera, a fronte di stipendi ben più sostanziosi?”, conclude De Palma.

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Roma, 17 nov. (askanews) - “Il Governo ci ascolti, non può ignorare piazze così partecipate da Nord a Sud come quelle degli infermieri di oggi. Lo sciopero di 24 ore indetto dal Nursind solo da stamattina ha già visto l’astensione dal lavoro di circa il 75% del personale interessato, al netto, naturalmente, di chi doveva garantire i servizi essenziali”. Lo dice in una nota Andrea Bottega, segretario nazionale del primo sindacato autonomo degli infermieri. “Con attività ambulatoriali e sale operatorie sospese, i cittadini, purtroppo, stanno subendo grandi disagi, ma il vero problema è che la situazione eccezionale di oggi diventerà a breve la normalità”, prosegue Bottega. “La nostra è una protesta sentita. Con un messaggio chiaro alle istituzioni: di questo passo il Servizio sanitario nazionale rischia di rimanere senza infermieri. Scenario che comporta un inevitabile scivolamento verso una privatizzazione dei servizi, i cui costi ricadranno, ancora una volta, sulle tasche delle persone. Una ragione in più – conclude il segretario – per non arrenderci. Se le nostre istanze non verranno accolte, infatti, la protesta andrà avanti. La posta in gioco, e cioè la sopravvivenza della sanità pubblica, è troppo alta”.