Bertolaso in USA per riportare in Italia infermieri e medici

L’assessore al Welfare della Regione Lombardia, qualche mese fa, era stato in Argentina e Paraguay per chiudere accordi che dovrebbero portare in Italia oltre 3500 professionisti per risolvere, almeno in parte, l’arduo problema della carenza di Infermieri.

In questi giorni Bertolaso, insieme al presidente della Regione Attilio Fontana e al sottosegretario alla Presidenza con delega alle Relazioni internazionali ed Europee Raffaele Cattaneo, hanno avviato una serie di trattative che dovrebbero riuscire a riportare in Italia le eccellenze fuggite all’estero, cercando di ridurre il problema del personale, specie nei Pronto Soccorso della Lombardia.

Il Nursing Up ha commentato la notizia in un comunicato stampa: “Apprendiamo in queste ore del nuovo impegno dell’Assessore al Welfare della Lombardia, Guido Bertolaso che, attraverso una nota ufficiale della Regione, annuncia di aver avviato, dallo scorso 20 maggio, un percorso di relazioni internazionali, una vera e propria missione istituzionale, per riportare in Italia valenti professionisti sanitari e ricercatori, che da tempo stanno lavorando negli Stati Uniti.

L’iniziativa mira sostanzialmente a fare tornare in Italia, soprattutto a Milano, il personale sanitario emigrato allo scopo di colmare il gap di professionisti negli ospedali pubblici lombardi. “In questa direzione va l’impegno di un ulteriore approfondimento di questa possibilità dopo l’estate, viene spiegato nel comunicato della Regione, quando rappresentanti degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs) lombardi si recheranno negli Stati Uniti per condividere il raggiungimento di questo obiettivo.

Apprendiamo che i tre esponenti politici hanno inoltre partecipato ad un evento presso l’ambasciata italiana di Washington, dove ha sede il Dipartimento della Sanità. L’appuntamento è stato organizzato per incontrare oltre 50 professionisti sanitari italiani, tra cui medici e ricercatori d’eccellenza, che attualmente esercitano la loro attività professionale in diverse città americane o che si stanno specializzando alla Columbia University e alla John Hopkins.

Sulla carta lo scopo è ambizioso, rappresenta certamente un passo in avanti, come modus operandi, rispetto alla discutibile intenzione di ingaggiare e formare professionisti sudamericani, alle prese con annose barriere linguistiche e con evidenti problemi, dall’oggi al domani, di interagire con i nostri pazienti.

Tuttavia oltre ad essere ambizioso, sia chiaro, il progetto è anche complesso e arduo da realizzare.

Finché non garantiremo retribuzioni degne di tal nome, alla pari con i principali paesi europei, finché non offriremo un salto di qualità nelle strategie di risoluzione delle carenze di organico per impedire turni massacranti e demansionamenti, finché non abbatteremo davvero le liste di attesa, finché non tuteleremo la salute psicofisica dei professionisti, restituendo di fatto appeal e attrattività alla professione, anche al fine di elevare la qualità delle prestazioni e servizi sanitari, sarà davvero difficile riportare a casa medici e infermieri che in Europa e oltre oceano guadagnano il doppio se non il triplo, con prospettive di carriera ben diverse dalle nostre”.

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