Violenza sugli Operatori Sanitari: la relazione del Ministero della Salute al Parlamento

Violenza sugli operatori sanitari: il ministero della Salute ha pubblicato sul suo sito istituzionale la prima relazione al Parlamento dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie .

La relazione fin dalla sue premesse sottolinea “il notevole e preoccupante incremento del fenomeno a livello globale è testimoniato da un numero crescente di studi presenti in letteratura a livello internazionale rispetto alle decadi precedenti, in particolar modo relativamente alla professione dell’infermiere, considerata la categoria più vulnerabile per la tipologia di lavoro svolto, sempre a stretto contatto con i pazienti e in situazioni non ordinarie che possono generare facilmente tensione”.

Le analisi che la relazione descrive illustrano dati che riguardano prevalentemente la violenza sugli infermieri perché si ritiene che gli infermieri siano più esposti al rischio stante che la probabilità di aggressione si correla con il tempo trascorso a contatto con il paziente e sottolinea che la mancata denuncia degli episodi e la mancata richiesta di aiuto nel momento in cui si compie l’aggressione costituiscono, soprattutto in alcuni contesti un fenomeno molto frequente, raggiungendo secondo alcuni studi anche il 70-80% degli episodi.

La relazione spiega anche che da quanto emerge dalla letteratura, per alcuni aspetti si potrebbero identificare nell’infermiere donna e nell’altro personale ricompreso tra gli esercenti le professioni sanitarie sempre di genere femminile, le categorie che costituiscono la tipologia di operatore sanitario su cui si concentrano maggiormente in numero assoluto gli eventi di aggressione e violenza, evidenziando la possibilità di definire l’inquadramento di questo specifico fenomeno nel più ampio contesto della violenza contro le donne.

La violenza nell’assistenza domiciliare

La relazione analizza anche gli episodi di aggressione e violenza subita dagli operatori sanitari nelle cure domiciliari, la modalità assistenziale maggiormente in crescita in tutto il mondo a causa dell’invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento del carico di malattia determinato dalle malattie cronico degenerative con la conseguente necessità di programmare interventi sociosanitari sempre più spesso centrati sulla casa come luogo di cura, gli operatori sanitari, soprattutto infermieri, che accedono al domicilio dei pazienti subiscono frequentemente aggressioni e atti di violenza.

Si tratta di un fenomeno fortemente sotto stimato perché poco segnalato. La revisione ha evidenziato come la violenza risulti più comune in situazioni in cui si tratti di pazienti con disordini cognitivi, abuso di sostanze e mobilità limitata; in operatori che temono la possibilità di subire una violenza, o che conducono una relazione paziente-operatore molto stretta o troppo distante e, infine, dove il piano assistenziale non includa i bisogni del paziente.

La revisione sottolinea una carenza di evidenze sui determinanti delle violenze perpetrate nell’assistenza domiciliare.

Sempre relativamente all’assistenza domiciliare, un’altra revisione sistematica e meta-analisi ha messo in evidenza la prevalenza degli episodi di violenza sessuale, sia di molestia sia di abuso, da parte di utenti ai danni degli operatori sanitari. Gli episodi di violenza sessuale si verificano nello 0,06% dei casi di violenza e hanno una maggiore incidenza gli episodi di molestia. Le cure domiciliari costituiscono un setting di cura particolare non soggetto in genere a possibili controlli e come tale più a rischio di altri per il verificarsi di episodi di violenza, anche sessuale. Queste considerazioni costituiscono specifiche indicazioni perché si sviluppino in questo ambito lo studio e l’applicazione di misure idonee di prevenzione per garantire la sicurezza degli operatori coinvolti rispetto ad uno specifico e crescente ambito di assistenza.

L’evoluzione nelle Regioni e le strategie di intervento

La relazione illustra anche un quadro di come gli episodi di violenza si sono evoluti nelle regioni e indica alcune strategie per mitigare il fenomeno, soprattutto verso chi lavora nei dipartimenti di emergenza.

Potenziare il personale di sicurezza e la formazione per mitigare la violenza sul luogo di lavoro in contesto sanitario è particolarmente raccomandato, anche se la maggior parte degli operatori sanitari non ha ricevuto formazione su come gestire un paziente violento.

Soprattutto è messo in evidenza da diversi studi il ruolo centrale della formazione degli operatori anche per promuovere la comprensione del fenomeno, e la necessità di supervisione clinica.

Un tema chiave per la prevenzione è la definizione di strategie di comunicazione così come dalla organizzazione e conduzione di campagne informative e di sensibilizzazione pubbliche sul fenomeno, altamente raccomandate per annullare carenze di comunicazione.

Altre misure di prevenzione sono costituite dall’avere con sé un telefono, conoscere e praticare tecniche di autodifesa e inerenti alla capacità di dissuadere possibili aggressori invitandoli in maniera efficace ad evitare di essere violenti, avere capacità di auto supporto e ricevere supporto sociale e limitare le interazioni con potenziali o conosciuti aggressori.

Dalle linee guida internazionali risulta poi la necessità di una politica e una strategia di prevenzione che prevede l’adozione di linee di indirizzo e specifica normativa nazionale e regionale e in specifiche procedure e prassi aziendali per l’adozione delle necessarie e appropriate misure di prevenzione. La presenza di questi documenti costituisce il primo passo di un percorso che deve portare a una necessaria e puntuale valutazione della effettiva applicazione delle misure di prevenzione in essi previste.

In base alla effettiva ed efficace adozione di queste misure, tutti gli operatori sanitari devono essere messi nelle condizioni di conoscere e, all’occorrenza, applicare l’intero percorso da seguire in caso di violenza, avendo, peraltro, la necessaria tutela legale.

La violenza sugli infermieri

Per quanto riguarda in particolare gli infermieri in Italia, la relazione conferma queste indicazioni e riporta i risultati dello studio CEASE-it, in cui oltre alla numerosità dei casi non denunciati, spiega che riconoscere il comportamento agitato dell’assistito come fattore predittivo degli episodi di violenza senza avere un’adeguata formazione a disinnescare l’aggressività aumenta del 66% la probabilità di subire violenza per la reazione delle persone identificate come a rischio rispetto a coloro che non riconoscono questo comportamento come fattore predittivo. Lavorare come infermiere nell’area dell’emergenza/urgenza aumenta di oltre due volte la probabilità di subire violenza rispetto a lavorare in area medica. Lavorare come infermiere nell’area della salute mentale aumenta di oltre quattro volte la probabilità di subire violenza rispetto ad altri contesti.

Tra i fattori che diminuiscono le aggressioni è risultata significativa l’età; infatti, all’aumentare dell’età degli infermieri diminuisce del 3% la probabilità di subire violenza. Gli infermieri che riconoscono l’uso di sostanze illecite da parte degli assistiti come fattore predittivo di episodi di violenza hanno il 36% di probabilità in meno di subire violenza rispetto a coloro che non riconoscono questo fattore come predittivo. La presenza di procedure chiare per la gestione degli episodi di violenza sul luogo di lavoro riduce la probabilità di subire violenza del 26% rispetto ai luoghi di lavoro sprovvisti di tali procedure

Riconoscere il comportamento agitato dell’assistito come fattore predittivo degli episodi di violenza senza avere un’adeguata formazione a disinnescare l’aggressività aumenta del 66% la probabilità di subire violenza per la reazione delle persone identificate come a rischio rispetto a coloro che non riconoscono questo comportamento come fattore predittivo. Lavorare come infermiere nell’area dell’emergenza/urgenza aumenta di oltre due volte la probabilità di subire violenza rispetto a lavorare in area medica. Lavorare come infermiere nell’area della salute mentale aumenta di oltre quattro volte la probabilità di subire violenza rispetto ad altri.

A QUESTO LINK LA RELAZIONE 2022 DELL’OSSERVATORIO SULLA SICUREZZA DEGLI ESERCENTI LE PROFESSIONI SANITARIE

Tratto dal sito istituzionale FNOPI

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Roma, 17 nov. (askanews) - “Il Governo ci ascolti, non può ignorare piazze così partecipate da Nord a Sud come quelle degli infermieri di oggi. Lo sciopero di 24 ore indetto dal Nursind solo da stamattina ha già visto l’astensione dal lavoro di circa il 75% del personale interessato, al netto, naturalmente, di chi doveva garantire i servizi essenziali”. Lo dice in una nota Andrea Bottega, segretario nazionale del primo sindacato autonomo degli infermieri. “Con attività ambulatoriali e sale operatorie sospese, i cittadini, purtroppo, stanno subendo grandi disagi, ma il vero problema è che la situazione eccezionale di oggi diventerà a breve la normalità”, prosegue Bottega. “La nostra è una protesta sentita. Con un messaggio chiaro alle istituzioni: di questo passo il Servizio sanitario nazionale rischia di rimanere senza infermieri. Scenario che comporta un inevitabile scivolamento verso una privatizzazione dei servizi, i cui costi ricadranno, ancora una volta, sulle tasche delle persone. Una ragione in più – conclude il segretario – per non arrenderci. Se le nostre istanze non verranno accolte, infatti, la protesta andrà avanti. La posta in gioco, e cioè la sopravvivenza della sanità pubblica, è troppo alta”.