Due Infermieri Italiani scelti per l'American Acedemy of Nursing

Due gli italiani, Gennaro Rocco e Loredana Sasso, in un gruppo di pochi in tutto il mondo: sono, infatti, solo 173 gli infermieri selezionati quest’anno per l’ingresso nell’Academy.
Una storia professionale importante quella di Gennaro Rocco, Dottore di ricerca in Scienze infermieristiche. E’ direttore scientifico del Centro di Eccellenza per la Cultura e la Ricerca Infermieristica del Collegio Ipasvi di Roma, docente di discipline infermieristiche nei corsi di laurea e di laurea magistrale presso le Università di Roma Tor Vergata, di Perugia e dell’Università Cattolica NSBC di Tirana.
Svolge attività di ricerca nel campo delle scienze infermieristiche a livello nazionale ed internazionale. E’ presidente della Fondazione “Insieme per Vita agli anni” ed è coordinatore del Consiglio di Indirizzo Generale della Cassa di Previdenza dei liberi professionisti infermieri Enpapi.
E’ stato per numerosi mandati componente del Comitato Centrale della Federazione Nazionale Collegi IPASVI nel ruolo di Vice Presidente.
Il prossimo ottobre scorso sarà insignito della più alta onorificenza internazionale che possa ricevere un infermiere: “Fellow” presso l’American Academy of Nursing. Prima italiana nella storia del Nursing.
L’Academy nasce nel 1973 nell’ambito dell’America Nursing Association ed è una delle più autorevoli e potenti organizzazioni degli Stati Uniti. Al servizio del pubblico e della professione infermieristica agisce mediante la promozione e la divulgazione e la conoscenza del Nursing. Ogni giorno attraverso attività politiche e culturali in America e nel mondo, l’Academy e i suoi membri creano iniziative legate alle politiche ed alla conoscenza della salute per indirizzare la riforma dei sistemi sanitari evidenziando il contributo del Nursing.
I Fellow sono riconosciuti per la loro carriera infermieristica e sono identificati tra tutti i professionisti nel mondo con il più alto livello formativo. L’invito alla Fellowship va oltre il semplice riconoscimento della propria carriera professionale, concretizzandosi nell’ingresso formale in un gruppo e alla sua rete di relazioni internazionali ad altissimo livello e con una forte capacità e possibilità di influenzare le linee politiche dei sistemi sanitari.
Un Fellow dell’Academy ha anche la responsabilità e il dovere di contribuire con il proprio tempo e le proprie energie alla vita dell’Academy coordinandosi con gli altri leader dei sistemi sanitari al fine di rafforzare la Leadership del nursing e la promozione della salute a livello nazionale ed internazionale.
Professor Rocco, recentemente Le è stata comunicata la nomina a “Fellow” presso l’American Academy of Nursing e il prossimo ottobre le verrà conferita questa prestigiosa onorificenza, la più alta a livello internazionale. Arrivarci non è scontato, quanto lavoro e quale percorso per ottenerla?
E’ innegabile che ricevere un riconoscimento internazionale così prestigioso è fonte di soddisfazione e di orgoglio. La mia candidatura è stata proposta da due colleghi americani già accademici ed è stata prima vagliata e poi accolta da un apposito comitato che si occupa di valutare i curricula e soprattutto l’apporto che il candidato fellow ha offerto per il miglioramento della qualità delle cure ed il progresso e lo sviluppo del nursing nel proprio Paese e più in generale a livello globale.
Le motivazioni che sinteticamente sono riportate nella lettera con cui mi è stato comunicato il riconoscimento, si riferiscono proprio a questi valori.
Sono solo 173 gli infermieri leader selezionati in tutto il mondo dall’American Academy of Nursing. Nel nostro Paese sono solo due quelli che possono fregiarsi di questo titolo lei e la Professoressa Sasso. Essere italiano ha reso il percorso più difficile?
L’infermieristica Italiana è entrata nel contesto internazionale solo di recente. Fino a qualche lustro fa erano sporadici i rapporti internazionali ed era quasi inesistente la produzione scientifica che si traduceva in articoli pubblicati su riviste indicizzate. Oggi per fortuna lo scenario è notevolmente cambiato. Molte cattedre di nursing hanno strutturato rapporti con prestigiose università Americane, Inglesi, Canadesi, Australiane ecc. ed iniziative come quelle portate avanti dal Centro di eccellenza per la cultura e la ricerca infermieristica nato nel collegio Ipasvi di Roma, hanno dato il colpo d’ala che sta facendo recuperare quel gap culturale che ci vedeva sinora nelle parti basse dei ranking internazionali.
Cominciano finalmente a nascere centri di ricerca infermieristica anche in istituzioni sanitarie come Irccs e aziende ospedaliere e questi, insieme all’attivazione delle scuole di dottorato, ci aiuteranno senz’altro a rendere più veloce il nostro recupero. Io ho sempre creduto e lavorato per lo sviluppo dei rapporti e delle relazioni internazionali e sono sempre più convinto che il confronto ed il benchmarking siano la strada migliore per il progresso e per lo sviluppo di tutti.
Infermieri Fellow chiamati a contribuire alla trasformazione del sistema sanitario degli Stati Uniti. Ma qual è il contributo degli infermieri italiani?
Ritengo che siano molte le cose che come italiani possiamo apprendere da altri paesi ma sono altrettante quelle che possiamo esportare. Gli infermieri italiani sono riconosciuti nel mondo come professionisti ben formati e preparati e con una grande disponibilità all’empatia ed alla relazione umana. Non sono elementi da sottovalutare e sono tanti gli elementi che caratterizzano i nostri processi formativi che possono essere tranquillamente trasferiti anche negli USA.
Non dimentichiamo che questo Paese che ospita le più importanti e prestigiose “Facoltà” di nursing del mondo, ancora non ha superato lo storico problema dei diversi canali formativi per diventare infermiere. Scuole vocazionali e Associate degree sono ancora presenti ed attivi in tantissimi Stati dell’Unione.
E poi il nostro Sistema Sanitario: non dimentichiamo che siamo uno dei pochissimi paesi al mondo ad avere ancora un Servizio Sanitario Nazionale fondato sui principi dell’universalismo del solidarismo e dell’equità che permette ad ogni cittadino di poter ricevere le cure e l’assistenza di cui necessita indipendentemente dalle sue disponibilità economiche. Negli USA così non è e sono stimanti in oltre 40 milioni gli americani che non hanno accesso alle cure. Come fellow la prof. Sasso ed io (e mi auguro ancora altri colleghi italiani nei prossimi anni) sapremo senz’altro portare questa testimonianza valoriale nell’Accademia.
E in che modo il Vostro contributo alla trasformazione del sistema sanitario degli Stati Uniti può riflettersi sulla trasformazione di quello italiano?
Come dicevo, in un mondo globalizzato ciò che funziona in un Paese, con i dovuti adattamenti può funzionare anche negli altri. L’attuale sistema di comunicazione di massa che consente di conoscere in tempo reale ciò che accade in ogni angolo del pianeta, facilterà ancor più questo processo. Dovremo solo essere bravi a prendere dagli altri ciò che è senz’altro migliore del nostro ed anche gli altri devono saper fare altrettanto!
Due personalità di spicco dell’infermieristica italiana nel board dell’American Academy of Nursing per cambiare il sistema: perché nel nostro Paese è così difficile promuovere e essere protagonisti del cambiamento?
Io non sono così pessimista. Gli infermieri italiani sono stati un esempio nel mondo: sono stati protagonisti di battaglie e di lotte che hanno profondamente cambiato le cose in Italia e non solo per la categoria ma direi soprattutto per i cittadini e per il sistema sanitario.
Non dimentichiamo che siamo il Paese con un rapporto infermieri/cittadini tra i più bassi tra i paesi OCSE eppure siamo tra i primi paesi al modo per qualità delle cure e dell’assistenza. Certo dopo che gli infermieri italiani hanno investito così tanto nella formazione, dopo aver visto ampliarsi così tanto la sfera dell’autonomia e delle responsabilità si aspettano riconoscimenti tangibili sia in termini contrattuali che giuridici e sociali.
Sono troppo lenti i cambiamenti organizzativi e sono ancora troppo forti le influenze di altre lobbies professionali e non solo sulla politica e così, ciò che dovrebbe essere ovvio, scontato, utile, diventa una chimera. Dagli americani dovremmo a mio avviso imparare come si valorizzano e come vengono “pagate” le competenze di un professionista. Gli infermieri italiani avrebbero da guadagnarne un bel po’!
Quanto distante è la professione infermieristica italiana sotto il profilo accademico, clinico e sociale rispetto a quella americana?
In termini di qualità formativa ritengo non ci sia una grandissima distanza. Certo, alcune prestigiosissime università americane sviluppano dei programmi innovativi e d’avanguardia ma è pur vero che dispongono di risorse molto più consistenti rispetto alle nostre sia in termini economici che per corpo docente disciplinare.
Nelle università americane le School of nursing corrispondono di fatto a quelle che erano le nostre facoltà. Quindi dean (preside) infermiere ed organico dei docenti pressoché esclusivamente infermieristico. Nella clinica vengono valorizzate le competenze: l’infermiere generalista gode di una adeguata autonomia e, man mano che avanza nella carriera trova un evidente riscontro sia economico che sociale.
Se dovesse sintetizzare in tre passi quali sono ancora le sfide da affrontare e quali le priorità per vedere presto riconosciuta appieno la professione e le sue peculiarità e potenzialità nel nostro Paese?
1) Adeguare gli organici portandoli nella media degli standard europei e dei paesi Ocse.
2) Riconoscere la professionalità infermieristica dando finalmente semaforo verde in tutte le regioni all’implementazione di modelli organizzativi coerenti con gli attuali livelli di competenza e di autonomia raggiunti dagli infermieri (unità operative a gestione infermieristica, infermiere di famiglia e di comunità, infermiere scolastico, ospedali di comunità a gestione infermieristica, ambulatori infermieristici generalisti e specialistici anche con lo sviluppo e la promozione dell’esercizio libero professionale) e liberandoli dalle attività improprie che in molte realtà è ancora costretto a svolgere.
3) Adeguare gli organici dei ricercatori e professori disciplinari nelle università e sbloccare l’imbuto delle carriere con il riconoscimento economico e giuridico dell’infermiere con competenze specialistiche.
Ritengo siano “atti dovuti” agli infermieri ma di cui beneficerebbero prima di tutto i cittadini!
 
Fonte: Ipasvi

Lascia un commento

Your email address will not be published.