La storia di una piccola prematura: quando si ha il coraggio di affrontare le difficoltà

18 Luglio 1998: STORIA DI UNA PICCOLA PREMATURA.
E voi avreste la forza di nascere due volte ed il coraggio di tornare a ‘casa’?
Era il 05 ottobre 2015, un giorno come tanti, stavo scorrendo le news sul sito dell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova come mi è solito fare, e mi sono trovata davanti l’email di un dottore. Sapevo bene chi fosse, in quale reparto lavorasse e quale compito svolgesse. Senza dire niente ai miei genitori, sapendo che non mi avrebbero negato ciò che volevo, ho deciso di scrivergli.
Non l’ho fatto prima forse per paura, o forse perché volevo ma non ero pronta ad affrontare un’esperienza simile. Io volevo tornarci, a costo di entrare con le mani che tremavano ed il cuore in gole, e uscire senza magari trovare le parole adatte. Detto ciò, mi presento. Mi chiamo Nicole, sono nata il 18 luglio 1998. Ho quasi diciotto anni e adesso posso dire di aver vinto. Il giorno in cui sono nata, sono stata trasferita al padiglione di anestesia e rianimazione neonatale.
Ero di ventiquattro settimane e pesavo 620 grammi, ma successivamente non mi sono risparmiata il calo a 580 grammi. Ho passato mesi in compagnia di sondini e saturimetro, macchinari e monitor, luci e suoni, bombole d’ossigeno ed io che andavo in insufficienza respiratoria. Hanno passato mesi a rianimarmi ed i primi tempi a dire ai miei genitori che non sapevano se all’indomani ci sarei arrivata. Dopo tanti mesi, il 10 dicembre 1998 sono uscita dal reparto. Ho sempre voluto, in un certo senso, tornare a ‘casa’. L’avevo promesso ad un dottore, il mio dottore. Colui che mi faceva da papà le ore in cui nessuno entrava in saletta incubatrici.
Il tutto è avvenuto il 02 dicembre 2015. Ho aperto la porta azzurra, di un azzurro poco acceso, e mi si è aperto un mondo. Sono passata nella prima saletta, dove ad aspettarmi vi erano le tate. E successivamente sono entrata nella seconda stanza, dove ho ritrovato chi mi ha vista piccola piccola. Ero in reparto, dopo anni. Mi sono bloccata sulla porta, ricordavo quei suoni: i bip-bip del saturimetro e dei macchinari. Li ricordavo bene. Qualche infermiera si ricordava di me e ovunque mi giravo tante si fermavano, anche se entrate dopo anni in servizio. Mi hanno abbracciato e si sono emozionate, forse più di me. “Sei la nostra soddisfazione”, belle parole, davvero belle.
Una soddisfazione anche per me. Quei momenti in cui ti rendi conto di quanta fortuna, nonostante tutto, hai avuto. Non è stato facile, per niente. Non è stato facile vedere il tutto non più attraverso uno schermo. Ho visto genitori attaccati al vetro a vedere il bimbo, e mi sono immaginata i miei genitori. Ho visto bimbi attaccati ai tubi, e ho capito cosa vuol dire affrontare la vita. Mi sono rivista, ho rivisto me stessa. Avete presente quando in un luogo vi sembra di essere a casa? Ecco. Per me quei corridoi, quelle stanze, quei suoni, quegli abbracci, quell’odore di disinfettante e quelle parole sono sinonimo di ‘casa’.
Grazie a chi ha speso minuti a leggere o lasciare un commento. Grazie a chi ci sta passando o ci è passato e mi capisce. Grazie a chi fortunatamente non ci passerà mai. A te che stai leggendo voglio solo dirti una cosa: non smettere di sperare, mai.
Ringraziamo Nicole Santoro per la testimonianza che ha voluto condividere con noi e siamo davvero molto felici di poter pubblicare storie come la sua. Queste storie, infatti, oltre ad essere commoventi, rappresentano anche una sorta di forma di speranza per coloro i quali, direttamente o indirettamente, abbiano problemi di questo o di altro tipo.

2 Comments

  1. Cara Nicole, da bambina fortunata a persona sensibile e molto bella. Complimenti a te che hai saputo aggrapparti a tutto quel che potevi, complimenti all’amore che ti ha circondata. Che la vita sia bellissima per te. Auguroni!! 🙂

    • Ciao Sabrina, per prima cosa mi scuso per il ritardo nella risposta.
      Non avevo fatto caso a che si potessero mettere i commenti sotto il post e di conseguenza non ci sono mai più venuta a controllare per vedere se ce ne fosse qualcuno.
      Ti ringrazio per le belle parole.
      Credo che, in questi casi, bisogna aggrapparsi a ciò che si ha; in questo caso io potevo solo aggrapparmi ad una cosa: la vita. E così ho fatto.
      Spero che la vita sia altrettanto bella per te.
      Un abbraccio.
      Nicole

Rispondi a Nicole Annulla risposta

Your email address will not be published.

non perdere

Monza: 120 Infermieri a lezione di difesa personale contro le aggressioni

Il 17 Aprile è iniziato il corso di difesa personale