La flebite chimica è un’infiammazione della tonaca intima della vena. La causa principale è l’effetto irritante di alcuni farmaci somministrati per via endovenosa. Se la flebite non viene trattata precocemente possono aumentare i rischi di complicanze, in particolare si può verificare un processo trombotico (tromboflebite o flebotrombosi).
La flebite chimica consiste nell’infiammazione di una vena e in particolare dello strato più interno, la tonaca intima, a causa di farmaci acidi , fortemente alcalini o ipertonici o di soluzioni con effetto irritante, come per esempio il ferro, il cloruro di potassio e i citostatici1 che se iniettati in una piccola vena con un flusso ematico insufficiente danneggiano il rivestimento della vena con conseguente possibile infiltrazione, danno ai tessuti e sclerosi. Spesso la flebite si accompagna a un processo trombotico (tromboflebite o flebotrombosi).
La fisiopatologia della flebite consiste in un classico processo infiammatorio che si sviluppa rapidamente. Tale processo si verifica in seguito alla sensibilizzazione dell’endotelio vascolare a causa dell’attrito provocato dall’accesso vascolare contro l’endotelio (flebite meccanica), dall’iperosmolarità della soluzione somministrata (flebite chimica) o da tossine batteriche (flebite infettiva). La venocostrizione è un segno precoce della flebite, è provocata dall’irritazione dell’endotelio ed è causa del rallentamento della portata del flusso ematico e dunque delle infusioni in corso. Questo intensifica l’irritazione dell’endotelio da parte dei liquidi infusi che non possono più essere diluiti correttamente dal sangue.
Nella fase successiva gli agenti portano al rilascio di serotonina, bradichinina e istamina, che sono agenti infiammatori che possono provocare vasodilatazione, aumentando così la permeabilità vascolare favorendo lo stravaso di proteine e di plasma sanguigno verso lo spazio interstiziale e quindi l’edema. Aumentando l’aggregazione piastrinica, stimolata dall’istamina, vi è una formazione trombotica lungo la parete venosa che si estende fino al lume, caratterizzata da eritema localizzato e da un cordone vascolare palpabile, fino a 3,5 cm. I leucociti iniziano a migrare verso il luogo in cui l’infiammazione diventa ora visibile (7,5-15 cm) e il calore localizzato diventa percettibile alla palpazione. Nel sito della puntura venosa può essere presente anche l’essudato.
I pirogeni, derivanti da apoptosi (morte cellulare programmata) leucocitaria, stimolano l’ipotalamo ad aumentare la temperatura corporea. In questa fase la flebite è caratterizzata dalla formazione di un cordone vascolare palpabile lungo la vena, che aumenta di spessore e di sensibilità, mostrando i segni classici dell’infiammazione: dolore, calore, arrossamento ed edema. Indipendentemente dal tipo di flebite e in seguito alla formazione del cordone vascolare possono insorgere ulteriori complicanze come la sclerosi vascolare, che è spesso irreversibile e impedisce di utilizzare nuovamente la vena per infusioni o per prelevare campioni di sangue.

Cause

La flebite chimica è una complicanza comune nei pazienti ospedalizzati che si verifica in corso di terapia endovenosa, in particolare per via periferica, ed è associata all’infusione di soluzioni acide o alcaline o con elevata osmolarità. Diversi studi hanno trovato un’incidenza tra il 20% e l’80% nei pazienti che ricevono una terapia endovenosa periferica; se la flebite non viene trattata precocemente può prolungare l’ospedalizzazione. La flebite chimica può verificarsi durante tutto il periodo della terapia infusionale, ma è più comune che si sviluppi dopo 2 o 3 giorni dalla sospensione delle infusioni continue e dalla rimozione del catetere. In questo caso si parla di flebite post infusione.
La probabilità di sviluppare una flebite post infusione aumenta se viene inserito un nuovo dispositivo venoso in prossimità di uno rimosso da poco. Si sviluppa più rapidamente nelle vene distali rispetto al cuore. Alcuni farmaci (per esempio grandi dosi di cloruro di potassio, aminoacidi, destrosio, multivitaminici) sono in grado di produrre flebite chimica dopo una o più somministrazioni nello stesso sito. Possono causare flebite anche farmaci irritanti come l’eritromicina, la tetraciclina, la nafcillina, la vancomicina, l’amfotericina.
I farmaci che non sono stati diluiti o miscelati correttamente producono particolato che aumenta il rischio di flebite chimica. Le persone anziane, quelle che necessitano di restrizioni idriche (cardiopatici e nefropatici), i neonati e i bambini sono particolarmente vulnerabili e a rischio di flebite chimica a causa della loro ridotta capacità di emodiluizione. Inoltre i bambini e gli anziani sono anche più vulnerabili alle flebiti perché potrebbero non essere in grado di comunicare il loro senso del dolore. Occorrerebbe quindi una valutazione più frequente di questi pazienti. La flebite chimica è un’infiammazione e può essere provocata principalmente da infusione di farmaci e soluzioni irritanti: alta o bassa osmolarità, fortemente acide (pH <4) o fortemente basiche (pH >8).
Il rischio di flebite chimica aumenta quando il pH e l’osmolarità della soluzione endovenosa differiscono da quelli del sangue. Nelle vene periferiche possono essere somministrate soluzioni con osmolarità non superiore a 600 mOsm/l e pH compreso tra 5 e 9 (per esempio: 10 mEq di cloruro di potassio hanno osmolarità pari a 500 mOsm/l, 30 mEq di cloruro di potassio invece hanno osmolarità pari a 800 mOsm/l per cui non vanno somministrati in una vena periferica). E’ sempre preferibile prendere una vena di grosso calibro e chiedere al paziente se avverte dolore o bruciore durante la somministrazione del farmaco. La flebite chimica è un evento raro con cateteri venosi centrali grazie alle grandi dimensioni del vaso e al volume di sangue circolante. E’ invece più comune con l’uso di dispositivi endovenosi periferici (la cui prevalenza varia dal 2,5% al 70%), in quanto i farmaci e le soluzioni irritano il rivestimento endoteliale della parete dei vasi periferici di piccole dimensioni. Per ridurre il rischio di flebite chimica è importante ricostituire i farmaci da somministrare rispettando le indicazioni del produttore.

Risultati di alcuni studi sui fattori predisponenti

Sono stati condotti studi sui fattori che predispongono alla flebite ma a oggi non è chiaro quali siano: i dati relativi a frequenza di infusione, sesso ed età del paziente sono infatti contrastanti. Inoltre, non ci sono dati sufficienti sul rapporto tra la frequenza di somministrazione dei liquidi, i tipi di farmaci somministrati e la frequenza del cateterismo nello stesso sito. Pertanto, sono necessari ulteriori studi per definire le relazioni tra i diversi fattori che predispongono alla flebite e per chiarire i risultati contrastanti derivanti da studi precedenti.
Uno studio descrittivo e comparativo del 2008 condotto su un campione di grandi dimensioni ha esaminato lo sviluppo di flebite nel sito di inserzione del catetere e i fattori predisponenti nei pazienti in trattamento con farmaci e soluzioni somministrate attraverso cateteri periferici endovenosi. In questo studio a differenza di altri (Curan et al 2000) è stato riscontrato che l’infusione di fluidi con pompe infusionali e l’inserimento di cateteri a livello del gomito aumenterebbe il rischio di flebiti. E’ possibile che in questo studio le pompe infusionali siano state utilizzate più frequentemente per infondere soluzioni ipertoniche: infatti è stata trovata una differenza significativa tra i diversi liquidi di infusione e il tasso di flebite.
Un tasso di flebite basso si verifica con soluzioni isotoniche, mentre l’osmolarità delle soluzioni ipertoniche può provocare danni all’endotelio della vena, innescando un processo infiammatorio e lo sviluppo di flebite. Rispetto alla velocità d’infusione non è stata rilevata una differenza statisticamente significativa tra le diverse velocità e il tasso di flebite (p>0,05). In altri studi è stato osservato un aumento di flebiti con infusioni superiori a 90 cc/h.14 Questo potrebbe essere dovuto al piccolo numero di pazienti che hanno ricevuto soluzioni ipertoniche a una velocità superiore a 100 cc/h; un’altra possibilità è che la velocità elevata di infusione causi un trauma meccanico della vena (flebite meccanica), mentre la bassa velocità di infusione causi un’esposizione continua delle pareti dei vasi alle sostanze chimiche aumentando il rischio di flebite chimica.
In questo studio il 60,8% dei pazienti che hanno ricevuto farmaci ha sviluppato una flebite; vi era una differenza statisticamente significativa tra i pazienti con o senza trattamento farmacologico e il tasso di flebite (p=0,002). E’ probabile che i farmaci con pH diverso da quello del sangue causino un trauma chimico nella tunica intima. Tra le varie classi di farmaci utilizzati e il tasso di flebite non è stata osservata alcuna differenza statisticamente significativa (p>0,05), anche se da uno studio del 1991 era emerso che gli antibiotici come l’eritromicina aumentano il rischio di flebite.
La flebite si sviluppa più frequentemente quando i farmaci sono somministrati quattro o più volte al giorno (p<0,05). La ragione potrebbe essere che il pH di molti farmaci è superiore a quello del sangue e quindi il trauma chimico e meccanico insieme aumentano il rischio di flebite.
In sintesi, i materiali di cui i cateteri sono fatti (teflon o vialon), la dimensione e la lunghezza del catetere, il sito di inserimento, la frequenza di utilizzo dello stesso, il tempo di permanenza del catetere, l’osmolarità dei fluidi e dei farmaci infusi, la velocità di infusione, l’asepsi, i tipi di medicazioni del sito, i metodi utilizzati per mantenere pervio il catetere e l’abilità del personale nel posizionamento del catetere sono tutti fattori ampiamente esplorati nei diversi studi e pare che svolgano un ruolo importante nello sviluppo della flebite.
Quando si verifica una flebite può aumentare il rischio di sviluppare un’infezione da catetere a livello locale soprattutto con i cateteri a medio e lungo termine. La patogenesi delle infezioni correlate alla presenza del catetere è più complessa, ma sembra essere il risultato della migrazione di microrganismi dalla cute del sito di inserimento del catetere al tratto del catetere, che eventualmente possono colonizzare la punta del catetere.
La contaminazione della parte terminale del catetere può contribuire anche alla colonizzazione del lume del catetere, soprattutto nei cateteri a lungo termine. La flebite e la tromboflebite possono quindi essere provocate sia da infezione sia da irritazione chimica. Alcuni autori sostengono che solo una minoranza di tromboflebiti sia di origine infettiva e anche in questi casi non si è in grado di definire se la colonizzazione batterica sia precedente o secondaria alla tromboflebite.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

non perdere

Avviso Pubblico Unione Montana Alpago

In esecuzione della propria determinazione n. 92 del 18 aprile