La contenzione fisica della persona adulta: monitoraggio esiti sensibili

Per “contenzione” la Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organization (2001) intende qualsiasi metodo fisico che limiti la libertà della persona di muoversi, di svolgere attività fisica, o di accedere al proprio corpo. In modo più completo Evans et al. (2002) la definiscono come qualsiasi dispositivo, materiale o attrezzatura applicato o adiacente al corpo di una persona che non può essere controllato o facilmente rimosso dalla persona stessa e che limiti volontariamente il movimento e/o il normale accesso al proprio corpo. Nonostante l’uso delle contenzioni fisiche sia da lungo tempo e da molti studi sconsigliato a causa degli effetti collaterali e delle implicazioni deontologiche e medico-legali, numerosi articoli in letteratura ne descrivono il loro frequente utilizzo nella pratica clinica (Krüger et al., 2013; Bai et al., 2014).

Heinze et al., (2011) in Germania hanno rilevato una prevalenza della contenzione del 9,2% comprendendo tra i mezzi contenitivi le sponde al letto e le cinture; Reguan et al. nel 2015, in Israele, hanno rilevato il 3,51% di degenti sottoposti a contenzione, mentre De Vries et al. nel 2004 hanno condotto uno studio europeo rilevando prevalenze delle contenzioni in ospedali geriatrici del 7% in Francia, dello 0% in Austria e Danimarca e in Svizzera dello 0-3%.
La contenzione fisica negli ospedali per acuti è dunque descritta con una prevalenza disomogenea che varia dal 3% al 25% (Krüger et al., 2013).

Il divario può essere spiegato dalle differenti definizioni di contenzione fisica adottate negli studi che hanno indagato il fenomeno, dalle caratteristiche dei luoghi di cura (Fogel et al., 2009; Krüger et al., 2010; Krüger et al., 2013) o dalla presenza di norme che vietino l’utilizzo dei mezzi di contenzione.
Anche la presenza o meno delle sponde al letto tra i mezzi di contenzione risulta essere determinante nel calcolo della prevalenza: vi sono infatti studi che le comprendono tra i mezzi di contenzione (Heinze et al., 2011; Krüger et al., 2013) e studi che le escludono (De Vries et al., 2004; Raguan et al., 2015).

L’inquadramento delle spondine è stato e resta controverso, poiché, in base alla situazione specifica possono essere considerate contenzioni o meno e dunque non tutti sono concordi nell’escluderle, a priori, dai mezzi di contenzione.
Le spondine applicate o correlate al letto, sono strumenti di sicurezza utilizzati per ridurre il rischio di scivolare, rotolare o cadere accidentalmente dal letto. Esse non sono una forma di contenzione se usate per proteggere il paziente dalla caduta dal letto, o se usate per i pazienti incapaci di movimenti volontari. Solo le spondine usate per contrastare la volontà di un paziente di alzarsi dal letto sono da considerare una forma di contenzione (Healey, 2007).

Nel contesto italiano, Degan et al. (2004) e poi Zanetti et al., (2012) hanno rilevato una prevalenza dei pazienti contenuti negli ospedali per acuti del 15,8%. Un recente studio condotto nel contesto nazionale riguardo agli esiti sensibili alle cure infermieristiche, che contemplano nello specifico tra gli esiti indagati anche la contenzione fisica, ha mostrato una prevalenza del fenomeno pari al 38,2% (Mongardi et al., 2014). La contenzione, infatti, rientra tra gli esiti sensibili all’assistenza infermieristica, quelli definiti front runners (Griffiths et al., 2008 poiché indicatori comuni tra i principali modelli di classificazione degli esiti (Cesa et al., 2014).

Nonostante l’impiego della contenzione fisica sia sostenuto dagli operatori sanitari come mezzo di prevenzione delle cadute accidentali, per controllare i disturbi del comportamento (agitazione, pericolo di fuga) o per assicurare la continuità dei trattamenti evitando l’autorimozione di dispositivi sanitari, non vi sono prove scientifiche che ne comprovino l’efficacia per tali scopi e ne supportino l’utilizzo (Lane e Harrington, 2011; De Jonghe et al., 2013).
Alcuni studi riportano che la contenzione fisica possa essere causa diretta di morte e di altri eventi avversi come delirium, stress post-traumatico, cadute, lesioni da pressione, aumento del tempo di degenza ed effetti psicologici negativi, come aggressività o depressione (Li-Yin Chang et al., 2008; Van Rompaey et al., 2009; Bai et al., 2014).
Malgrado ciò non vi sono interventi supportati da forti prove di efficacia volti a ridurne il suo utilizzo (Evans et al., 2002).

La letteratura disponibile consiglia la formazione del personale, la creazione di team multidisciplinari piuttosto che la creazione di protocolli specifici per ridurre al minimo il ricorso alla contenzione (RNAO 2012; ANA, 2012; De Bellis et al., 2013; Said e Kautz, 2013; Cole, 2014; Cosper et al., 2015; Lach et Leach, 2016;).
Organismi internazionali come la Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organization (2001), la Registered Nurses’Association of Ontario in Canada (2012) e il Comitato Nazionale per la Bioetica (2015) raccomandano il monitoraggio della contenzione e relativo feedback agli operatori per ridurne il ricorso.
Nell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) Papa Giovanni XXIII di Bergamo (ex Ospedali Riuniti di Bergamo) è stata emanata nell’anno 2010 una Procedura Specifica inserita nel Sistema Gestione Qualità aziendale relativa alla “Contenzione fisica nell’adulto” indirizzata a tutti gli ambiti di degenza ad eccezione dei contesti di salute mentale, area critica e pediatrica. La Procedura Specifica è stata sottoposta a valutazione ed approvazione del Comitato Etico. Nella Procedura Specifica è stata prevista una scheda per le prescrizioni mediche e il monitoraggio infermieristico da compilare ogni qual volta si proceda ad applicare una contenzione fisica e degli specifici indicatori per la sua valutazione.

Visto il quadro disomogeneo e non sempre confrontabile della prevalenza della contenzione fisica (Raguan et al., 2015) e le raccomandazioni a monitorare il fenomeno (JCAHO, 2001; RNAO, 2012; CNB, 2015), il presente studio ha come obiettivo quello di rilevare la prevalenza della contenzione fisica (spondine escluse) in un grande centro ospedaliero per acuti, contribuendo anche a definire uno dei principali N.S.O. Inoltre si è colta l’occasione per verificare la corretta applicazione delle indicazioni suggerite dalla procedura da parte degli operatori sanitari e analizzare la documentazione clinica per verificare la tracciabilità dei criteri adottati per decidere il ricorso alla contenzione.

MATERIALI E METODI

Il presente studio è stato condotto presso l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, presidio ospedaliero dell’omonima Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST), nell’anno 2017. Il disegno di studio è di tipo osservazionale e prospettico. Nelle 21 Unità Assistenziali (U.A.) mediche e chirurgiche a ciclo continuo della media intensità di cura ospedaliera arruolate per lo studio, è stata considerata la popolazione rappresentata da tutte le persone degenti nei giorni di rilevazione.

Sono stati esclusi dalla rilevazione i degenti in regime di day hospital, day surgery, i detenuti, i minori di 18 anni e i degenti in area critica, pediatrica e della salute mentale. Si sono considerate le sponde al letto solo se applicate per contrastare la volontà della persona di alzarsi dal letto (Healey. 2007).

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