Il Direttore Sanitario dell’INMI, Pietro Scanzano, tramite un comunicato ufficiale, ha stabilito la chiusura delle USCAR: “Facendo seguito alla determinazione Regione Lazio G04257 del 30/03/2023, che ha disposto la proroga della disciplina di funzionamento delle Uscar e Usca fino al 30 giugno, non avendo ricevuto ulteriori aggiornamenti da parte della Regione Lazio si comunica la chiusura delle attività delle Uscar stesse“.
E, in questo modo, sono stati licenziati circa 3000 tra medici e Infermieri che si erano formati e lavoravano nelle USCAR, ossia le Unità speciali di continuità assistenziale regionale, che nel corso della pandemia hanno prestato oltre 3 milioni di interventi a livello regionale.
L’esperienza Uscar ha dimostrato che una realtà in cui la medicina del territorio e quella ospedaliera collaborano e si integrano è possibile. Questa collaborazione ha contribuito a far sentire il paziente realmente preso in carico, evitando la sensazione di abbandono di cui si tanto è parlato nel corso della pandemia. In aggiunta, gestendo il paziente a domicilio, ha permesso di alleggerire il carico che gravava sui pronto soccorso e sugli ospedali, si legge nello statuto della stesse.
Stefano Marongiu, coordinatore emergenziale infermieristico delle Unità, sottolinea: “dismettere una struttura formata e pronta per affrontare ogni evenienza pandemica non è una scelta di buon senso. Le Uscar in questi anni hanno formato 1.200 medici e 1.500 infermieri, garantito la capacità di intervenire nei grandi cluster come a domicilio. È un modello da replicare, non da mettere in garage. Questa sapienza non andrebbe dispersa ma trasformata in una sorta di “riserva” da attivare al bisogno. Il Covid non fa più paura, ma non è finito. Il 30 giugno la struttura di coordinamento ha ricevuto dalle Asl 12 richieste di intervento a domicilio. Dal primo luglio quelle persone non sanno a chi rivolgersi. Spero che si scelga di non smantellarle“.
Interviste tratte da Il Corriere