Come scegliere correttamente un catetere venoso periferico?

La selezione del catetere venoso periferico richiede all’infermiere una competenza avanzata che include le conoscenze delle più recenti prove scientifiche, la capacità di valutazione delle condizioni del paziente e del piano terapeutico e l’autovalutazione delle proprie abilità tecniche. I tempi di permanenza raccomandati del catetere venoso dipendono dal tipo di dispositivo scelto e sono importanti nel determinare il rischio di infezioni. Altre complicanze associate all’uso dei cateteri dipendono dal pH e dall’osmolarità della soluzione infusa e dalla velocità dell’infusione.
L’infermiere deve possedere le conoscenze e competenze per selezionare il dispositivo più appropriato per il paziente e per la terapia e per ridurre al minimo gli eventi avversi. Esse includono la conoscenza dell’appropriatezza della terapia prescritta e delle linee guida più aggiornate, delle potenziali complicanze e la competenza nella tecnica di inserimento del dispositivo in base alla personale esperienza pratica.
La scelta del catetere vascolare dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni da infondere, dal volume e dalla velocità di infusione, dalla durata della terapia, dalle condizioni del paziente, dalla preferenza e dal piano terapeutico complessivo. La scelta del dispositivo più appropriato in base all’uso è importante per accrescere i benefici terapeutici del paziente e ridurre al minimo il disagio e i costi.
L’obiettivo è quello di utilizzare il dispositivo meno invasivo con il minor rischio di complicanze (infettive e non infettive) per tutta la durata della terapia. Le linee guida emesse dai CDC nel 2011 classificano ogni raccomandazione sulla base dei dati scientifici esistenti, del razionale teorico, dell’applicabilità e dell’impatto economico.

Tempo di permanenza del catetere venoso periferico e durata della terapia endovenosa

I cateteri si possono classificare in relazione al tempo di permanenza:

  1. a breve termine (per esempio Abbocath® e Angioset®): usati in ambito ospedaliero con tempo di permanenza di 3 o 4 giorni, sono cateteri a punta aperta, in teflon o poliuretano, con un diametro compreso tra 14 e 24 gauge;
  2. a medio termine (per esempio Midline®): usati in ambito ospedaliero ed extraospedaliero con un tempo di permanenza di 4 settimane, questi cateteri possono essere a punta aperta oppure valvolati, di solito sono di silicone o poliuretano. Sono lunghi da 20 a 30 cm (la punta può arrivare in vena ascellare) e hanno un diametro variabile da 2 a 6 french.

La terapia per via endovenosa è la procedura invasiva più comune, si associa a un tasso di flebite tra il 2,3% e il 60% in funzione delle caratteristiche del paziente e delle terapie infuse, e a un tasso di infezione del catetere endovenoso (CRBSI: Catether-Related Blood Stream infection) dello 0,8% circa. L’intervallo di sostituzione dei cateteri è un tema controverso. Studi sui cateteri venosi periferici a breve termine indicano infatti che l’incidenza di tromboflebite e la colonizzazione batterica dei cateteri aumenta quando rimangono in vena per un tempo superiore a 72 ore e non aumenta in modo significativo quando i cateteri vengono lasciati in sede 72 o 96 ore.
Secondo una revisione sistematica Cochrane del 2010 però la sostituzione regolare del catetere ogni 3-4 giorni è poco efficace per prevenire le infezioni da catetere. Confrontando la sostituzione del catetere di routine (ogni 3-4 giorni) con quella eseguita soltanto in presenza di segni clinici di infiammazione o flebiti non sono infatti emerse differenze statisticamente significative nella frequenza di infezioni. Questi risultati sono probabilmente frutto del miglioramento nella progettazione dei cateteri venosi periferici e indicano la necessità di rivedere le raccomandazioni sulla sostituzione dei cateteri.
Le linee guida dei CDC e anche le recenti linee guida australiane (2013) continuano a consigliare la sostituzione programmata dei cateteri venosi periferici ogni 72-96 ore per limitare lo sviluppo di flebiti e di infezioni da catetere e questa raccomandazione è tuttora seguita nella maggior parte degli ospedali.
I cateteri venosi periferici a medio termine (Midline®) sono associati a una minore incidenza di flebite rispetto ai cateteri a breve termine e a un basso tasso di infezioni rispetto ai cateteri venosi centrali (CVC). In uno studio prospettico, su 140 cateteri a medio termine il tasso di BSI (Blood Stream Infection) era dello 0,8% per 1.000 giorni/catetere. Sebbene gli studi suggeriscano la sostituzione dei cateteri a medio termine soltanto quando vi è una specifica indicazione clinica, nessuno studio prospettico randomizzato ha valutato l’efficacia della sostituzione di routine nella prevenzione delle infezioni associate all’utilizzo di questi cateteri venosi periferici.

Caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni da infondere

La scelta del catetere venoso periferico e della vena più appropriata dipende anche dalle caratteristiche delle soluzioni o dei farmaci da somministrare. L’osmolarità e il pH sono i principali fattori intrinseci di soluzioni e farmaci in grado di provocare alcune complicanze locali (principalmente la flebite) se non vengono rispettate le indicazioni relative ai tempi e alle modalità di infusione. Per ridurre questo rischio occorre somministrare soluzioni con un pH prossimo a quello del sangue (pH 7,35-7,45) e un’osmolarità inferiore ai 600 mOsm/l. Il pH definisce la concentrazione di ioni idrogeno in una soluzione. La scala va da 0 a 14 (da 0 a 6 il pH è acido, mentre da 8 a 14 è basico; con un pH pari a 7 la soluzione è neutra).
A ogni piccolo cambiamento di pH corrisponde una grande variazione della concentrazione degli ioni idrogeno. L’osmolarità (tonicità) invece indica la concentrazione di particelle disciolte in una soluzione. Nel plasma umano la concentrazione di particelle disciolte è circa 290×103 Osm/l ovvero 290 mOsm/l. Le soluzioni infusionali sono distinte in isotoniche, ipertoniche e ipotoniche in base alla loro osmolarità confrontata con quella plasmatica. Le soluzioni isotoniche, come la soluzione fisiologica (NaCl allo 0,9%) o il destrosio al 5%, hanno un’osmolarità vicina a quella plasmatica (tra 240 e 340 mOsm/l).
Tali soluzioni sono in equilibrio con il flusso sanguigno e non incidono sul movimento dei liquidi verso e dalle cellule endoteliali delle vene. Per tale ragione essi sono i diluenti più comuni per numerosi farmaci somministrati per via endovenosa. Le soluzioni ipotoniche, come per esempio l’acqua sterile, hanno un’osmolarità inferiore a 250-260 mOsm/l. Tali soluzioni, quando entrano nel flusso sanguigno, causano il movimento dell’acqua nelle cellule endoteliali della vena; il risultato può essere un’irritazione della vena o una flebite, se le cellule attirano acqua in eccesso fino a scoppiare. Per questa ragione l’acqua sterile e le altre soluzioni ipotoniche non sono generalmente infusioni adatte di per sé, ma possono essere utilizzate per diluire farmaci ipertonici, specialmente nelle persone che hanno una quantità limitata di liquidi in circolo, come i bambini e i neonati.
Le soluzioni ipertoniche hanno invece un’osmolarità superiore a 300-310 mOsm/l con valori che raggiungono anche 500-1.000 mOsm/l e richiamano acqua dalle cellule dei vasi endoteliali nel lume vascolare, causando il loro restringimento e l’esposizione della membrana a ulteriori danni (flebiti chimiche, irritazioni, trombosi). Tra le soluzioni fortemente ipertoniche ci sono la soluzione glucosata al 20% (1.112 mOsm/l) e il bicarbonato all’8,4% (2.000 mOsm/l). Queste soluzioni non sono buoni diluenti appropriati. E’ dimostrato che le soluzioni ipertoniche che superano i 600 mOsm/l possono indurre una flebite chimica in una vena periferica entro 24 ore.
Una soluzione ipertonica può essere infusa in modo sicuro attraverso una vena centrale; il grande volume di sangue in una vena centrale diluisce la soluzione, abbassando la sua osmolarità. Invece il volume di sangue in una vena periferica non garantisce un’adeguata emodiluizione e rende la vena vulnerabile a flebiti, infiltrazioni e trombosi. L’osmolarità è dunque uno dei possibili fattori che possono provocare una flebite chimica. Naturalmente è necessario considerare l’osmolarità sia del farmaco, sia del diluente.
E’ importante che l’osmolarità dei farmaci somministrati sia inferiore alle 600 mOsm/l. Il rischio di flebite aumenta quando il pH e l’osmolarità della soluzione endovenosa differiscono da quella del sangue. Nelle vene periferiche possono essere somministrate soluzioni con osmolarità non superiore a 600 mOsm/l e pH compreso tra 5 e 9 (per esempio: 10 mEq di cloruro di potassio hanno osmolarità pari a 500 mOsm e si possono somministrare in una vena periferica, mentre 30 mEq di cloruro di potassio che hanno un’osmolarità di 800 mOsm/l non vanno somministrati). E’ sempre preferibile utilizzare come accesso una vena di grosso calibro e chiedere al paziente se avverte dolore o bruciore durante la somministrazione del farmaco.

Volume e velocità di infusione

La velocità di infusione delle soluzioni somministrate per via endovenosa dipende da diversi fattori tra cui:

  • l’osmolarità: le soluzioni ipertoniche vanno infuse lentamente per il loro effetto di richiamo di liquidi nello spazio intravascolare;
  • i principi attivi (per esempio chemioterapici, antibiotici, amine, eparina) o elettroliti (come il potassio) contenuti nella soluzione che necessitano di un controllo attento della velocità con pompa d’infusione;
  • le condizioni del paziente: le persone anziane, cardiopatiche o nefropatiche rischiano un sovraccarico di volume, per cui la velocità di infusione deve essere ridotta e controllata scrupolosamente;
  • il calibro dell’accesso venoso;
  • le condizioni del sito;
  • il volume complessivo di soluzione da infondere.

Se il farmaco da somministrare è irritante, è possibile rallentarne l’infusione prevedendo la sua somministrazione per un periodo più lungo e aumentando in questo modo il tempo per l’emodiluizione. Con un’infusione rapida cresce infatti il rischio di flebite, per il ridotto tempo dell’emodiluizione che consente alla soluzione molto concentrata (ipertonica) di venire a contatto con la tunica intima della vena. Rallentare la somministrazione aumenta solo di poco il tempo di contatto, mentre è vantaggioso per l’emodiluizione.
 
 
 
 
Fonte: EBN e Zadig Quesiti Clinico-Assistenziali

2 Comments

  1. Salve sono un dipendente della Smiths Medical Italia produttrice di cateteri venosi, a nome mio e quello dei miei colleghi vi invitiamo a venirci a trovare nel nostro sito produttivo di Latina per farvi vedere l’alta professionalità e qualità del nostro prodotto.

  2. Quindi una soluzione di 40mEq in 500 ml di soluzione fisiologica non va somministrata in una vena periferica ? Potreste essere un po piu esaustivi sulle velocità di infusione con esempi pratici ?

Lascia un commento

Your email address will not be published.