La linea sottile che separa la Contenzione Fisica dalla Costrizione: Responsabilità dell'Infermiere

8 anni ago

Tesi di Laurea in infermieristica Dott. Rizzo Virgilio

La contenzione fisica rappresenta uno degli argomenti più dibattuti non solo nella pratica clinica di ogni giorno ma anche per quello che concerne l’aspetto normativo. Oggi, infatti, ancora non si è giunti ad avere un complesso di leggi in base alle quali seguire un certo comportamento in determinate situazioni cliniche. La nascita della contenzione, comunque, affonda le sue radici nella storia e nello sviluppo della psichiatria. Oggi sentiamo parlare di SPDC aperti e di abolizione di qualsiasi forma di restrizione, compresa quella fisica. Il sistema psichiatrico di cui si parla oggi è un sistema basato sulla massima libertà dei pazienti e sulla fiducia data agli stessi da parte degli operatori sanitari. Ma allora perché non si è ancora messo in atto questo modello? Perché questo tipo di organizzazione era già prevista nel lontano 1850 con il sistema “No Restraint” del dottor John Conolly? Già da allora si intuiva quello che era un intento di modernizzare l’assistenza in psichiatria e non solo, ma potremmo dire che qualcosa è andato storto. Tutto ciò che si erano prefissati fino ad allora non venne mai messo in atto: la contenzione diventò un fenomeno di largo uso non solo nei vecchi manicomi ma anche nelle strutture ospedaliere di ricovero per acuti. La questione divenne di particolare importanza già agli inizi del 1900. Sin dai primi anni del ‘900, infatti, si è tentato in tutti i modi di regolarizzare il “fenomeno contenzione” attraverso la legge 36 del 1904 “Disposizioni sui manicomi e sugli alienati”, per giungere alla legge n. 180 del 1978, intitolata “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, che venne poi inserita all’interno della legge n. 833. Il principio ispiratore di questa legge è il fatto che il malato di mente va considerato come gli altri pazienti e, quindi, non deve essere curato in base alla sua pericolosità con la custodia. La cura e il ricovero divennero una libera scelta della persona e, solo in casi specifici, si può intervenire mediante il TSO, trattamento sanitario obbligatorio.
Da allora sono passati ben 37 anni ma di leggi e di riforme neanche l’ombra. Per questo ovvio motivo la contenzione resta come un libro aperto con pagine ancora bianche, ragion per cui vi è una linea sottile che separa la contenzione fisica dalla costrizione, con leggi e riferimenti che sono così sottili che anche l’interpretazione degli stessi diventa difficile. Ma una cosa è certa: bisogna intervenire per evitare l’espandersi del fenomeno e, soprattutto, una rielaborazione almeno univoca della poca normativa, onde adeguarla allo spirito ed alla lettera della giurisprudenza contemporanea e della storia più recente, per facilitarne l’interpretazione, e per chiarire, una volta per tutte, la sfera di autonomia e la specifica responsabilità degli operatori sanitari.

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