Professionisti e Social network: il confine tra buona e cattiva comunicazione

12 mesi ago

In questo tempo appare quasi banale e forse fin troppo scontato ricordare che lo sviluppo e la diffusione di Internet hanno portato all’elaborazione di sistemi e modalità di comunicazione veloci e sofisticati, utilizzabili con un numero sempre più elevato di dispositivi che hanno sostanzialmente cambiato le modalità di approccio all’informazione da parte del cittadino e più in generale le modalità di comunicazione.
In tal senso, sono allo stesso modo cambiate le modalità di comunicazione tra professionisti e cittadini, comunicazione che in ambito sanitario ha un ruolo rilevante nella relazione tra professionista e persona assistita. L’informazione e la comunicazione sono componenti essenziali di questa relazione, che però oggi non può più essere mediata unicamente dai canali di comunicazione più consolidati.

Ma “il tempo di relazione è tempo di cura” e la comunicazione che entra in gioco nella relazione deve essere “buona” e ”onesta”. E buona lo è quando l’infermiere nella comunicazione, anche attraverso mezzi informatici e social media, si comporta con decoro, correttezza, rispetto, trasparenza e veridicità; tutela la riservatezza delle persone e degli assistiti ponendo particolare attenzione nel pubblicare dati e immagini che possano ledere i singoli, le istituzioni, il decoro e l’immagine della professione (ART. 28 – Comportamento nella comunicazione – Codice Deontologico delle professioni infermieristiche 2019).

L’accento va messo proprio sulla responsabilità comunicativa. Una responsabilità che presuppone conoscenza, consapevolezza, capacità di assunzione del controllo delle proprie azioni. Tutto ciò non può prescindere dalla competenza e, nello specifico dalla competenza comunicativa. Non si tratta solo di un termine linguistico che riconduce alla capacità di applicare correttamente le regole grammaticali di una lingua e formulare frasi e periodi corretti ma è anche la capacità di sapere quando usarle correttamente. Il concetto, quanto mai attuale, è stato elaborato dall’antropologo statunitense Dell Hymes nel 1966: egli affermava che una persona era dotata di competenza comunicativa quando era capace di scegliere quando parlare, quando tacere, di cosa parlare, a chi, in che modo, quando e dove.

Onesta, invece, quando l’infermiere, anche attraverso l’utilizzo dei mezzi informatici e dei social media, comunica in modo scientifico ed etico, ricercando il dialogo e il confronto al fine di contribuire a un dibattito costruttivo (ART. 29 – Valori nella comunicazione Codice Deontologico delle professioni infermieristiche 2019).
Qui l’attenzione va al perché e al come viene fatta. Anche attraverso i social media la comunicazione deve essere tale da permettere alla persona assistita di essere consapevole e responsabile nella co-decisione del suo percorso.
Come ben sottolinea Sandro Spinsanti nel suo libro “La cura con parole oneste, Ascolto e trasparenza nella conversazione clinica”, la finalità della comunicazione incide sul “come”: una comunicazione senza attenzione al contenuto e a quanto lo stesso può generare in termini di interpretazione, azione, comportamento, rischia di riflettersi in modo negativo e dannoso sia sulla relazione infermiere – assistito sia sull’assistito in quanto destinatario e fruitore della stessa.

L’attenzione agli effetti della comunicazione – continua Spinsanti – è la misura dell’onestà delle parole. La comunicazione deve essere commisurata alla domanda della persona e per essere caratterizzata da parole oneste non deve essere solo accurata ma, anche attraverso i social media, accompagnata da una modalità propria e contestualizzata.

Ma quale è nel quotidiano il confine tra buona e cattiva comunicazione non solo sul versante deontologico, magari più facile da percepire, ma anche su quello giuridico?

Molti dubbi, altrettante domande e poche certezze caratterizzano le analisi e le valutazioni della comunicazione sui social soprattutto quando a farle sono i “non addetti ai lavori”. Da qui l’approfondimento – attraverso tre sentenze sul tema – con l’avvocato Marisa Marraffino, Patrocinante in Cassazione e esperta di privacy e reati informatici.

SENTENZA DEL TRIBUNALE DI BRESCIA N. 352 PUBBLICATA IL 17/04/2018:
IL FATTO: … la realizzazione di numerosi “post” anche durante l’orario di lavorativo (ciò emerge chiaramente dall’orario di pubblicazione degli stessi indicato nelle pagine Facebook). I post sono riferiti a colleghi e talvolta anche a pazienti. Nello specifico i post contengono manifestazioni talvolta di carattere generico riferite ai pazienti o ai colleghi in generale, talvolta di espressioni satiriche, scurrili o di tipo goliardico; in alcuni casi sono state pubblicate le fotografie di pazienti con commenti sarcastici o ironici, altre volte trattasi di immagini che ritraggono specifici colleghi con commenti del tipo ironico.
I post erano visibili a chiunque dato che il professionista li aveva pubblicati sul proprio profilo Facebook che era pubblico e quindi visibile a chiunque accedesse a tale profilo.

SENTENZA DEL TRIBUNALE DI VICENZA N. 778/2017 PUBBLICATA IL 14/12/2017:
IL FATTO… “Alcuni medici e infermieri, durante una cena, hanno ideato una gara a punti da realizzarsi durante lo svolgimento dell’attività istituzionale, consistente nell’’utilizzazione aghi e cannule delle maggiori dimensioni possibili nel trattamento dei pazienti del Pronto Soccorso, a prescindere dalle indicazioni cliniche del caso e dal rispetto delle regole in materia di appropriatezza nell’impiego dei dispositivi medici; emerge, inoltre, che detta gara si sarebbe concretizzata in data …, giorni a cui risale lo scambio di messaggi via Whatsapp, a cui hanno preso parte durante l’esercizio delle loro funzioni, nell’ambito del quale appare inequivocabilmente la volontà di realizzare quanto pianificato durante la cena. La conversazione attraverso Whatsapp, che comprende anche l’immagine del tabellone dei punteggi conseguiti, evidenzia la volontà di portare a compimento quanto ideato con gli altri colleghi e di vincere la competizione impiegando gli aghi e le cannule delle maggiori dimensioni possibili, il tutto a insaputa dei pazienti –ed anzi, prendendosi gioco di loro: in spregio alle più elementari regole etiche che devono ispirare l’attività dell’infermiere”. …Tale condotta denota uno sviamento dall’attività istituzionale ed un uso improprio del telefono cellulare personale, che in costanza di servizio dovrebbe essere utilizzato solo per le emergenze e non per attività di svago, come lo scambio in una chat privata di messaggi e immagini di contenuto futile, di dubbio gusto e lesivo della dignità dei pazienti; tanto più in un ambiente lavorativo quale quello del pronto Soccorso, nel quale gli operatori devono concentrarsi sull’erogazione agli utenti di prestazioni sanitarie in situazioni di emergenza e urgenza clinica, evitando distrazioni di ogni tipo che possono pregiudicare l’efficacia e l’appropriatezza delle cure richieste dal caso”.

SENTENZA DEL TRIBUNALE DI FIRENZE N. 2018 PUBBLICATA IL 31/12/2018:
IL FATTO…la paziente … aveva iniziato a inviare al professionista, medico psichiatra, (al numero di telefono cellulare a disposizione di tutti i pazienti per le loro esigenze terapeutiche) continui messaggi, anche a contenuto estraneo alle questioni inerenti la terapia, e, in un secondo tempo, di carattere sentimentale. … Dal testo delle conversazioni si desume che la paziente inviava continuamente al professionista messaggi, spesso contenenti affermazioni e domande a contenuto personale e intimo, ed emerge che lo stesso professionista accettava tale tipo di conversazione, talvolta fornendo alla paziente informazioni sulla propria vita personale. …
L’esistenza di contatti extralavorativi con la paziente non è quindi stata negata dal professionista …
Tale contegno del professionista conferma che, come si evince dalle conversazioni intercorse tra questi e la paziente, i contatti tra i due non si sono limitati a problematiche di tipo terapeutico, ma hanno avuto anche contenuto extraprofessionale, in termini e modalità non compatibili con il ruolo del professionista.

LE DOMANDE…

SE LA PAGINA FACEBOOK È PERSONALE PERCHÉ NON È POSSIBILE/OPPORTUNO PUBBLICARE TUTTI I CONTENUTI CHE IL TITOLARE DELLA PAGINA RITIENE?

I social network per la giurisprudenza sono “luoghi aperti al pubblico”. I contenuti che pubblichiamo possono essere visti da una pluralità indistinta di persone, anche se abbiamo impostato restrizioni sulla privacy. Le condivisioni dei contenuti fanno sì che anche le persone esterne alla nostra cerchia di amicizie possano prenderne visione. Potenzialmente tutti possono leggere ciò che scriviamo. Nell’ambito delle professioni sanitarie occorre quindi prestare la massima attenzione perché l’immagine dell’ospedale, della clinica privata o del singolo professionista passa anche da quello che si pubblica sui social network, come le sentenze degli ultimi anni dimostrano.

LA PUBBLICAZIONE DELLA FOTO DI UN ASSISTITO SULLA BACHECA PERSONALE È SCORRETTA ANCHE QUANDO L’ASSISTITO È D’ACCORDO? VENGONO VIOLATI I CODICI COMPORTAMENTALI AZIENDALI?

Le policy degli ospedali e la legge vietano la pubblicazione di dati personali dei pazienti, tra questi rientrano fotografie, cartelle cliniche e ogni altro dato identificativo.

Anche quando è il paziente stesso a pubblicare dati che riguardano la propria salute, ad esempio su siti dedicati all’informazione medica, le piattaforme sono obbligate a rilasciare la cosiddetta avvertenza di rischio, per informare gli utenti che i dati potrebbero essere indicizzati dai motori di ricerca e comunque essere visti da chiunque. Lo ha precisato il Garante per la protezione dei dati personali con le linee guida del 25 gennaio 2012 che prescrivono alle piattaforme di avvisare l’utente della possibilità di utilizzare un nickname o di non inserire dati relativi al proprio stato di salute proprio per evitare il rischio di essere indicizzati anche in futuro dai motori di ricerca.
Meglio allora non pubblicare dati che ci rendano identificabili, omettendo ad esempio di firmare col nostro nome e cognome.

Dipende poi molto dal contesto. Ci sono stati casi in cui i giudici hanno annullato delle sanzioni disciplinari irrogate per alcuni selfie pubblicati col paziente, quando quest’ultimo in udienza ha dichiarato di aver prestato il consenso alla condivisione della fotorafia, ma in generale meglio evitare. Si tratta di dati particolari che è opportuno mantenere riservati.

IL DATORE DI LAVORO PUÒ IRROGARE UNA SANZIONE DISCIPLINARE ANCHE QUANDO L’ASSISTITO E D’ACCORDO SULLA PUBBLICAZIONE DELLE IMMAGINI E NON RITIENE DI AVER SUBITO DANNO DALLA LORO PUBBLICAZIONE?

Sì, poi l’operatore sanitario potrà difendersi nelle sedi opportune, in casi specifici, come visto sopra.

ANCHE QUANDO L’ASSISTITO È D’ACCORDO SULLA PUBBLICAZIONE È POSSIBILE RECARE DANNO ALL’IMMAGINE DELL’ORGANIZZAZIONE?

Sì, perché altri pazienti potrebbero sentire messa a rischio la propria riservatezza e scegliere altre cliniche private o altri ospedali proprio a tutela dei propri diritti.

QUANDO SI PUBBLICA UN POST SULLA PROPRIA PAGINA IN ORARIO DI LAVORO IL PROBLEMA È IL CONTENUTO DEL POST O LA PUBBLICAZIONE IN ORARIO DI LAVORO?

Entrambe le cose. Ci possono essere post di per sé lesivi dell’immagine aziendale, come fotografie che ritraggono il medico o l’infermiere in atteggiamenti non edificanti o in pose imbarazzanti così come chattare o pubblicare post durante l’orario di lavoro potrebbe ledere il vincolo di fiducia col proprio datore di lavoro, soprattutto se l’attività online è ripetuta.

SI PUÒ AGIRE NEI CONFRONTI DEL LAVORATORE ANCHE QUANDO NON È ESPLICITATO NULLA NEI CODICI AZIENDALI E ETICI?

Sì, l’obbligo di diligenza e fedeltà all’azienda è sancito dagli articoli 2104 e 2105 del codice civile che valgono sempre a prescindere dai singoli codici aziendali.

COME SI SOSTANZIA/DIMOSTRA LA LESIONE DELLA PROPRIA IMMAGINE SIA DA PARTE DEL SINGOLO CHE DELL’AZIENDA?

Il danno si può dimostrare sia producendo i post pubblicati sui social network, con i relativi commenti degli utenti, sia per il tramite dei testimoni. In alcuni casi gli ospedali sono stati costretti a giustificarsi anche rispondendo alle mail che ricevevano a causa del clamore mediatico suscitato da alcuni post su Facebook pubblicati proprio dagli operatori sanitari.

QUANDO, CHATTANDO CON L’ASSISTITO, IL CONTROLLO SULLA COMUNICAZIONE PUÒ SFUGGIRE DI MANO SUL PIANO GIURIDICO?

Nel generale obbligo di diligenza del medico dettato dall’articolo 2104 del codice civile rientra anche quello di tenere un rapporto professionale con i pazienti. L’art. 6 del contratto l’art. 6 CCNL dell’area dirigenza medica specifica ad esempio l’obbligo del dirigente medico di “mantenere una condotta uniformata a principi di correttezza e di collaborazione nelle relazioni interpersonali, all’interno dell’Azienda con gli altri dirigenti e con gli addetti alla struttura, astenendosi, in particolare nel rapporto con gli utenti, da comportamenti lesivi della dignità della persona o che, comunque, possono nuocere all’immagine dell’Azienda”. Molto dipende anche dal ruolo ricoperto e dal caso concreto, ma è importante mantenere un rapporto che sia sempre professionale, nell’interesse del paziente e anche dell’immagine aziendale.

SUL PIANO GIURIDICO, IL PROBLEMA È LA CHAT CON L’ASSISTITO O L’USO DEL TELEFONO PERSONALE CON L’ASSISTITO: LA QUESTIONE È DI METODO, DI CONTENUTO O DI ENTRAMBI?

Di entrambi. Quando si può meglio usare i canali formali e ufficiali di comunicazione medico paziente. Il ruolo degli operatori sanitari è particolarmente importante e delicato e passa anche attraverso una buona comunicazione che non deve essere mai sottovalutata.

CHATTARE CON L’ASSISTITO IN ORARIO DI LAVORO PUÒ ESSERE MOTIVO DI SANZIONI DISCIPLINARI? ANCHE QUANDO LA RELAZIONE RIMANE SUL PIANO PROFESSIONALE?

Dipende molto dal caso concreto, bisogna però ricordare che usando chat non istituzionali ci possono essere dei problemi legati alla riservatezza dei dati trattati. Non tutte le piattaforme ad esempio adottano le misure di sicurezza idonee e possono quindi non essere conformi al GDPR. Eventuali accessi non autorizzati ai dati potrebbero causare danni ai pazienti di cui l’operatore sanitario deve tenere conto. Gli ospedali e i medici in generale oggi osservano protocolli molto severi in tema di privacy. Ci sono molti esempi positivi di App e software espressamente dedicati al settore sanitario, che funzionano molto bene, conciliando perfettamente le esigenze di riservatezza con la necessità di comunicare velocemente col paziente. La tecnologia è indispensabile per tutti gli operatori sanitari, basta osservare alcune regole per il bene di tutti.

Infermiere Online – Sito istituzionale FNOPI

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