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Migliaia di Infermieri stanno lasciando il lavoro, cosa sta succedendo?

“Medici, infermieri, farmacisti, psicologi, fisioterapisti, biologi, tecnici, operatori civili e militari tutti, che hanno affrontato in situazioni spesso drammatiche e proibitive l’emergenza Covid-19 con straordinaria abnegazione, molti dei quali sacrificando la propria vita per preservare quella degli altri e per contenere la diffusione della pandemia: il personale sanitario italiano è stato il primo nel mondo occidentale a dover affrontare una gravissima emergenza sanitaria, nella quale ha ricorso ai possibili rimedi di medicina di guerra combattendo in trincea per salvare vite e spesso perdendo la loro”. Questa la motivazione con cui, l’8 ottobre 2021, è stata avanzata la candidatura del personale sanitario italiano per ill Nobel per la Pace. Il Servizio Sanitario Nazionale, nato nel 1978 e, attenzione, per volontà della sua madre fondatrice, Tina Anselmi, nel 2020 ha vissuto l’anno degli elogi, dei grazie, del “siete eroi”. Una glorificazione che qualcuno, già allora, sospettava sarebbe stata volatile, fragile, mutevole, ed infatti con un 2021 troppo simile all’anno che l’ha preceduto, le cose sono molto cambiate, e quella profusione di affetto per medici ed infermieri della sanità pubblica, è seguita la rabbia, persino le aggressioni. sono proprio gli infermieri, oggi, a non reggere più il sovraccarico di lavoro, fatto di turni massacranti, combinato all’impossibilità di gestire pazienti inferociti per le lunghe attese in pronto soccorso. Non sanno quegli stessi pazienti, o non importa loro sapere, che dietro a quei minuti, a quelle ore in sala d’aspetto, c’è lo smantellamento dei presidi territoriali, c’è la riduzione del personale, ci sono turni impossibili da reggere, e c’è la spossatezza di due anni passati in trincea, pagati, talvolta, anche con la vita.

E così in migliaia in tutta Italia stanno abbandonando un lavoro, per svolgere il quale, ricordiamo, è necessaria una laurea. I pronto soccorso, insomma, si stanno svuotando di infermieri: “Stando ai dati OCSE, per 1000 cittadini ci dovrebbero essere 8,8 infermieri. In Italia, invece, ce ne sono 6,2 – spiega a VD Andrea Bottega, del sindacato Nursind, parlando della carenza di circa 63mila infermieri sul mercato del lavoro- “Siamo invecchiati di dieci anni in questi mesi. Ci hanno mandato ad affrontare il virus con la mascherina antipolvere“. Erano, quelli della prima ondata del virus, i giorni della gratitudine, quelli in cui scrivevamo, con sincerità, che erano “loro gli eroi di questa emergenza: medici, paramedici, infermieri. Quelli con le facce segnate dalla fatica e dalle mascherine troppo strette. Quelli che, all’appello della Protezione civile per costituire una task force nazionale in aiuto agli ospedali in sofferenza, hanno risposto in 8.000 per 300 posti. Quelli che hanno visto i loro reparti riconvertiti alla cura del virus e hanno accantonato l’urologia, l’ortopedia, la cardiologia per dedicarsi ai malati di Covid”.

Il problema, tuttavia, è strutturale, precede il Covid ma da esso è stato peggiorato. “Mettono gli interinali in pronto soccorso perché non ci vuole venire più nessuno. E il turnover di uscita è molto più alto rispetto a quello di entrata: dopo anni passati in trincea è dura voler continuare a fare questo lavoro”. Così racconta Claudio Cullurà, segretario territoriale di Nursind, a cui si aggiungono le testimonianze, tante di infermieri ed infermiere oltre la soglia della sopportazione. Barbara, infermiera da pochi anni, ha raccontato al sito VD News che, “allo scoppio dell’emergenza, le persone portavano addirittura i dolci nei pronto soccorso. Ora ci tirano gli schiaffi”. L’eccitazione collettiva è durata il tempo di qualche mese, prima che le condizioni di lavoro degli infermieri negli ospedali e, in particolare, nei pronto soccorso, tornassero a contare poco, tra burnout, aggressioni e tagli del personale.

Roberta, infermiera da trent’anni, dice che la sua categoria è “massacrata da utenza e dirigenza. Sono tutti buoni a riempirsi la bocca di malasanità, ma dovrebbero venire a vedere perché succedono queste cose: in un reparto eravamo un infermiere ogni 13 pazienti. Dovevo tirare la monetina per capire chi salvare. E alla fine ti chiedi se hai fatto la scelta giusta a fare il massaggio cardiaco a un paziente piuttosto che a un altro”. Non si fanno il santino, però: sanno che a volte sono loro stessi a gettare benzina sul fuoco, a non avere più la pazienza per la risposta cortese, lo confessa sempre Barbara che, però, aggiunge: “Siamo stanchi. Pensi di fare il massimo con gli strumenti che hai, ma vieni aggredito. Per questo, e mai lo avrei pensato, ci fanno i corsi per contrastare la violenza sugli operatori: ti dicono che devi disinnescare la violenza ma se prendi un pugno in faccia, non ce l’hai il tempo di provare a sedare l’atteggiamento violento. Ci viene anche detto di metterci di profilo quando arriva il pugno, perché così offriamo meno superficie da colpire, e di frapporre un oggetto tra noi e la persona che ci aggredisce. Peccato che nel mentre che si fanno tutte queste operazioni, si rischi di finire per avere due ossa fratturate. Ma se reagiamo abbiamo torto noi e finiamo in consiglio di disciplina”. Pensare che a marzo 2020 in tutto il Paese era partita una chiamata alle armi senza precedenti, rivolta a medici ed infermieri in pensione ed estesa anche ai neolaureati, cui, con il decreto Cura Italia, era stata concessa un’abilitazione senza esame di Stato. Oggi di decreti in vista, per arginare la fuga di questa figura professionale indispensabile perché regga l’intero sistema sanitario, non ce ne sono.

ELLE

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