Morta a causa del COVID: non concesso l’infortunio all’Infermiera

Il caso limite è stato quella di un’infermiera: uccisa dal Covid, sul lavoro. Morta sulla cosiddetta prima linea: eppure non è bastato, a ottenere il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Inail. Questa è solo una delle storie che fanno rabbia e che vengono raccolte agli sportelli di via Giovanni d’Acri, dove si trova il patronato della Cgil Inca, la sigla sta per Istituto nazionale confederale di assistenza. E le protagoniste di queste vicende – racconta il direttore Gabriele Parodi – sono donne. Sono loro, infatti, le più colpite dalla pandemia: su più fronti. Al 20 novembre, infatti, a rivolgersi al patronato Inca della Cgil sono state 80 persone, delle quali 53 donne. Il motivo è semplice: «Le professioni ad alto rischio hanno una maggiore caratterizzazione femminile – spiega Elena Bruzzese, segretaria Cgil Genova – su cento occupati in lavori a rischio alto e molto alto, 67 sono donne». Sul fronte sanitario, infermiere, operatrici socio sanitarie, ausiliarie ospedaliere e operatrici socio assistenziali.

Otto infortuni sul lavoro da Covid-19, infatti, riguardano gli oss, impiego per lo più ricoperto da donne, come conferma Parodi. Con l’aggravante che, soprattutto nella fase iniziale dell’emergenza, alcuni di questi infortuni «non sono stati riconosciuti dall’Inail perché i lavoratori erano impossibilitati a fare il tampone». I numeri confermano le storie. L’Ufficio Economico della Cgil Liguria, infatti, ha elaborato i dati pubblicati dall’Inail riguardo alle denunce di infortunio sul lavoro da Covid-19 nel periodo che va dal primo gennaio al 31 ottobre. In questa data, in Liguria le denunce erano 3.246: di queste, 2.231 provenivano da donne. Da qui, l’appello del sindacato: «Bisogna mettere in campo politiche per la parità nel lavoro – sottolinea Elena Bruzzese, segretaria Cgil Liguria – e per sostenere l’occupazione femminile”. Quello che dovrebbe essere tenuta in conto è una “sicurezza di genere», continua ancora Bruzzese: ma ancora, non accade. «Il Covid ha fatto emergere la crisi del nostro welfare e dei suoi due principali pilastri: la sanità e la scuola, due comparti che se messi insieme impiegano ormai al 70 per cento manodopera femminile. Cosi come è in prevalenza femminile il personale dei servizi di pulizia, ristorazione, lavanderie, catering. Lavoratrici che spesso hanno anche meno accesso ai dispositivi di protezione».

Un altro effetto della pandemia è la crescita dello smart working: per le donne, tutt’altro che agile. «La chiusura delle scuole ha gravato sulla gestione dei tempi e sull’incremento del lavoro di cura svolto prevalentemente dalle lavoratrici – continua Bruzzese – per questo è necessario mettere in campo politiche che combattano modelli patriarcali, vecchie e nuove discriminazioni». L’esito estremo di una mentalità difficile da sradicare è l’aumento della violenza tra le pareti domestiche: ieri il presidente del consiglio regionale Gianmarco Medusei, condannando l’ennesimo femminicidio, ha sottolineato come, anche in Liguria, «le chiamate alle forze dell’ordine per liti in famiglia o sospetti maltrattamenti sono aumentate durante il lockdown del 119 per cento».

La Repubblica

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