Infermiera in sedia a rotelle per salvare la vita ad un pz

Ho sempre amato il mio lavoro, ero un mulo da lavoro». Silvia ha 42 anni ed è su una sedia a rotelle, dopo un incidente sul lavoro. È un’infermiera, lavorava alla Rianimazione dell’ospedale San Carlo il 26 dicembre 2014 quando, mentre salvava un paziente, ha avuto uno shock anafilattico da allergia al lattice. Arresto respiratorio, si è risvegliata emiplegica, nel giro di un anno non camminava più. L’evento si è combinato con una malattia rara, la sindrome di Ehlers-Danlos, che le avevano diagnosticato nel 2010. L’allergia al lattice l’aveva scoperta da studentessa, e dichiarata prima dell’assunzione al San Carlo. Chi ha un’allergia non severa deve usare guanti in nitrile o vinile e lavorare in un reparto “latex safe”. Silvia (cui era stata diagnosticata un’allergia da contatto, anche se i medici raccomandarono di evitare l’esposizione ambientale) fu mandata in Medicina, «e lì i guanti di lattice talcato giravano fino al 2006». Nel 2005 la prima reazione allergica «da aerosol», l’ospedale dismise i guanti in lattice talcato (non quelli in lattice), «io comunque passavo sempre la mia fornitura in nitrile o vinile ai colleghi che lavoravano con me».

Nel 2008 si ruppe un braccio, scivolando sulla neve perché era uscita a soccorrere un paziente su un balcone. Dopo un anno a fare la segretaria al corso di laurea in Infermieristica fu valutata di nuovo idonea e la mandarono in Rianimazione, assicurandole che lì di lattice non ce n’era. «E così era. Poi è arrivata una fornitura di guanti in nitrile che si spaccavano. È riapparso il lattice. Bisognava aspettare un appalto, sono andata avanti con la mia fornitura, prevalentemente aiutavo la caposala. Però il pomeriggio del 26 dicembre, se sei in reparto, devi fare l’infermiera: è arrivato un paziente in condizioni critiche, sono intervenuti anestesisti e colleghi dalla camera operatoria, qualcuno aveva guanti in lattice. Io ero alla testa e non potevo andarmene, rischiava di morire». Sull’incidente c’è un processo appena aperto al Tribunale di Milano. E una causa civile, anche quella da poco «perché io volevo solo giustizia – chiarisce Silvia –. L’emiparesi mi ha stravolto la vita. Persino la mia casa mi è diventata inaccessibile». E combatte con Inail e Inps, che si scaricano a vicenda la competenza sulla sua invalidità (malattia rara più infortunio), col risultato che «ufficialmente non sono invalida al 100%, pago ticket, molti farmaci e terapie. Ormai ho esaurito i miei giorni di malattia». Silvia è tornata al lavoro appena ha potuto, a fine 2015: è stata alla continuità assistenziale, è una delle persone che hanno messo in piedi all’Asst dei Santi la “presa in carico” introdotta dalla riforma della sanità, quel «ponte» tra ospedale e cure intermedie che la Regione considera così prezioso.

Ha affrontato una gimkana quotidiana tra uffici inaccessibili a una carrozzina nel vetusto San Carlo («Anche per andare in mensa devo aspettare gli addetti al montascale») stando lontana da reparti e ambulatori dove potrebbe esserci lattice (nei guanti è bandito dopo quel 2014). Adesso è in aspettativa, «perché sono distrutta psicologicamente. Amavo il mio lavoro ma non lo faccio più, e mi è intollerabile tornare qui, dove è successo l’incidente, lo rivivo tutti i giorni. Vorrei andarmene». La legge 104 le consente al massimo di spostarsi al San Paolo, l’altro ospedale dell’azienda, che non è messo meglio sul piano strutturale. Da mesi ha chiesto il trasferimento (in base alla legge sulle categorie protette) a Garbagnate, un ospedale nuovo e senza barriere, e più vicino a casa, ma l’Asst Rhodense non ha dato l’ok. L’aspettativa finisce a settembre. «Quando la rigidità sull’applicazione di alcune norme si scontra col diritto al lavoro e la dignità delle persone occorre che intervenga la buona politica – riflette Andrea Pinna, della Cgil del polo San Carlo -. Siamo sicuri che chi di competenza si attiverà affinché Silvia possa continuare a lavorare con serenità, in un luogo senza barriere né fisiche né mentali e che la valorizzi come donna e come professionista».

Il Giorno

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