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Mobbing: le proposte dalla multa al carcere

Il Movimento 5 Stelle ha ripreso in mano la situazione lavorativa relativa ai lavoratori che subiscono mobbing, non essendoci alcuna tutela organica. Nella scorsa legislatura ci avevano provato con la proposta della sanatrice Taverna e ora ripartono all’attacco per garantire dei diritti a chi, purtroppo, si trova ad essere mobbizzato sul luogo di lavoro.

Il testo è stato presentato alla Camera ed è articolato molto bene. Per questo motivo ci vorrà del tempo prima della sua approvazione. Il deputato del M5S dice di aver avuto l’idea di redarre un simile testo dopo l’episodio del carabiniere Casamassima che, per primo, testimoniò le violenze subite da Stefano Cucchi e fu costretto dall’Arma dei Carabinieri a lavorare lontano da casa, effettuando mansioni non propriamente relegabili alla sua figura.

Il testo prevede la reclusione da sei mesi a quattro anni e multe da 30.000 a 100.000 euro. Pena aumentata di un terzo se gli atti sono commessi dal “superiore gerarchico”, della metà se avvengono nei confronti di una donna in stato di gravidanza o nel corso dei primi quattro anni di vita del figlio.

«La molestia morale e la violenza psicologica». Ovvero attraverso la rimozione da incarichi, l’esclusione dalla comunicazione e dall’informazione aziendale, la svalutazione sistematica dei risultati («fino a un vero e proprio sabotaggio del lavoro»), «il sovraccarico di lavoro o l’attribuzione di compiti impossibili o inutili», l’attribuzione di «compiti inadeguati rispetto alla qualifica e preparazione professionale o alle condizioni fisiche e di salute», l’esercizio da parte del datore di lavoro o dei dirigenti di «azioni sanzionatorie», quali «reiterate visite fiscali o di idoneità, contestazioni o trasferimenti in sedi lontane, rifiuto di permessi, di ferie o di trasferimenti», tutte finalizzate «alla estromissione del soggetto dal posto di lavoro».

Ed ancora: gli atti persecutori e di grave maltrattamento, «la squalificazione dell’immagine» personale e professionale e le «offese alla dignità», attuate da superiori, da pari grado o da subordinati ovvero dal datore di lavoro».

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