Bari, da Infermiere precario a disoccupato: "Non c'è certezza nel domani"

Francesco (nome di fantasia per tutelare anonimato) ha 42 anni, ha due figli, e da nove anni è un infermiere ma vive nella precarietà. “Chi sta nelle nostre condizioni – ci racconta – non ha alcuna certezza del domani. Difficile anche mantenere una famiglia così”.
Francesco, da quanti anni è infermiere?
“La mia formazione da infermiere inizia con un po’ di ritardo, in quanto ho deciso solo intorno ai 29 anni di tentare la prova di ammissione al corso di laurea in infermieristica. Nel  2007 iniziai l’università e decisi che avrei dato il meglio di me, sia sui libri, ma soprattutto durante il tirocinio, infatti dopo 2 anni e mezzo avevo già sostenuto tutti gli esami con ottimi voti e ho dovuto aspettare per mesi interi la data della seduta di laurea. Ad oggi sono 9 anni di esperienza”.
Come li ha trascorsi questi nove anni?
“Li ho svolti in varie realtà lavorative, iniziando da una RSA dove svolgevo la mia attività fra pazienti affetti per la maggior parte dei casi dal morbo di Alzheimer o demenza senile, con un contratto con agenzia interinale per circa 3 anni; a seguire ho assaporato per qualche mese  l’ebbrezza della partiva iva lavorando presso una cooperativa che forniva personale infermieristico a strutture sanitarie. Dopo questo sono stato assunto presso la divina provvidenza (ex manicomio), dove sono rimasto per circa 2 anni: qui mi sono imbattuto in una realtà per me sconosciuta fino ad allora, la patologia psichiatrica. Ricordo ancora il primo giorno di lavoro, volevo solo scappare, perché certe scene le avevo viste solo nei film, ma alla fine mi sono fatto forza ed ho imparato ad amare quella gente, che dalla vita purtroppo non aveva ricevuto un bel regalo, ma nel loro piccolo ti donava tanto.
Poi arrivò il momento di accettare un incarico in un’azienda pubblica, presso il reparto di Neurologia,  tramite un avviso pubblico, chiamate che fino ad allora avevo rifiutato perché avendo famiglia non me la sono sentita di accettare 3 o 6 mesi nel pubblico, rischiando poi di restare per strada, ma stavolta ho voluto rischiare. E’ stato in questo momento che ho iniziato a gustare il mio lavoro quello per cui avevo studiato. Qui finalmente ho iniziato a fare l’Infermiere con la I maiuscola. Successivamente ho intrapreso l’esperienza forse più bella e gratificate ovvero lavorare presso il 118, dove ne ho viste di cotte e di crude, mettendomi in gioco, intervento dopo intervento. Molto spesso si riusciva a ridare un sorriso al paziente e alla sua famiglia, strappandolo dalla morte, altre volte, nostro malgrado, nonostante tutti gli sforzi possibili, non ci riuscivamo.  Questa esperienza è durata in tutto 3 anni, perché sfortunatamente il 31 ottobre per 227 precari asl ba non c’è stato rinnovo e ci siamo affacciati al mondo della disoccupazione”.
Cosa è per lei il precariato?
“Il precariato io lo vedo solo come una forma di lavoro che serve alle strutture sanitarie sia pubbliche che private, per poter godere di sgravi fiscali a discapito sia dei pazienti che del precario stesso, visto che non potrà avere una sicurezza lavorativa. E’ giusto che il personale venga reclutato tramite concorso, ma è anche vero che la meritocrazia non deve fermarsi al concorso, infatti molte volte accade che una volta ottenuto il cosiddetto “posto fisso” qualcuno trova il modo per rendere il minimo sindacale  sul posto di lavoro.  Logicamente non è riferito a tutti, fortunatamente la maggioranza svolge il proprio lavoro con dedizione e professionalità, alle volte privando tempo alla propria famiglia e ai propri interessi pur di far andare nel verso giusto il carrozzone”.
Cosa ti piace del tuo lavoro?
“Del mio lavoro non c’è nulla che non mi piaccia, è un lavoro dove alla fine del turno torni a casa soddisfatto per aver dato una mano a gente sofferente che in te vede una figura di cui potersi fidare, fiducia che comunque va meritata svolgendo il proprio lavoro col massimo della professionalità e umanità”.
Cosa ti aspetti dal futuro?
“Dal futuro mi aspetto solo un po’ di tranquillità lavorativa”.
Fonte

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