FNOPI: nessuno tocchi il SSN, le alternative non sono praticabili

Nessuno metta in dubbio e in forse il Servizio sanitario pubblico. Soprattutto non lo faccia modellando dati che numerosi, illustri, centri di ricerca hanno già spiegato nella loro analiticità, creando allarmi che in realtà non ci sono e non ci devono essere.

Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI,  prende posizione sui dati Censis-Rbm che attribuendo 40 miliardi di spesa ai cittadini per le cure, hanno anche parlato della possibilità di alternative come le assicurazioni sanitarie per far fronte al de-finanziamento del sistema da cui deriverebbe la spesa privata dei cittadini “costretti” a metter mano a risorse proprie per quelle prestazioni che il servizio pubblico non erogherebbe più.

“Non accettiamo e non accetteremo mai nulla e nessuno che metta in dubbio l’importanza di un sistema sanitario pubblico. Questo è l’unica via possibile da seguire per l’assistenza delle persone – afferma Mangiacavalli -. Sappiamo bene che nella spesa privata non c’è solo una parte di inefficienza che noi denunciamo da tempo, specie per il territorio, ma anche, come hanno sottolineato Cittadinanzattiva dalla parte dei cittadini e la Fondazione Gimbe che analizza gli scenari della sanità, spesa per ticket, differenza di prezzo tra farmaco “brand” e farmaco generico (per scelta dei cittadini), farmaci di fascia C, cure odontoiatriche che solo parzialmente sono incluse nei Lea, integratori, prodotti omeopatici e altro ancora.

È vero, sul territorio il piatto piange perché a molti bisogni di salute che il servizio pubblico non copre è il cittadino che deve far fronte di tasca propria. Ma non si può e non si deve parlare assolutamente di 40 miliardi, non si può e non si deve assolutamente cercare di gettare le basi per un cambio di rotta nell’assistenza che non privilegi più quella pubblica. O non solo”.

“Abbiamo detto e ribadiamo con forza che è necessario organizzare l’assistenza sul territorio in modo multidisciplinare, mettendo i cittadini nelle condizioni di non essere soli al momento del bisogno. Abbiamo descritto modelli efficienti con livelli di assistenza ad alta, media e bassa intensità, legati alla realizzazione di percorsi e infrastrutture ben descritte, ma ferme nei cassetti di ministero e Regioni per il veto di pochi, legati ancora a un’immagine obsoleta e ormai inefficiente dell’assistenza e delle cure. Abbiamo sottolineato che i bisogni dei cittadini non sono più frantumabili in una risposta fatta di mille interventi disgiunti e scollegati tra loro, ma hanno bisogno di una risposta che deve essere coordinata ed efficiente per la vera tutela della salute. Anche per una maggiore garanzia di contenimento di spesa, perché nessuno invoca ‘piogge’ di risorse sul nulla, ma tutti vogliono investimenti mirati, dedicati ed efficienti, così come con un nuovo modello lo saranno cure e assistenza.

La sanità ha bisogno di appropriatezza, non del suo smantellamento. Ha bisogno di garantire che il giusto professionista possa essere messo in grado di rispondere alle necessità con un bilanciato utilizzo di risorse e nella maggiore autonomia possibile. Serve una visione più ampia e coraggiosa. Mancano professionisti è vero, mancano anche gli infermieri, ma a mancare è soprattutto un serio ed equilibrato rapporto tra i professionisti che si realizzi attraverso lo sviluppo delle competenze. Una scelta politica razionale oggi può condizionare il futuro dell’assistenza sanitaria per i prossimi 30 anni”.

“Nessun falso allarme spaventi i cittadini – conclude Mangiacavalli -. Ma si sappia e si chiarisca che al di là di proclami pro domo di questo o quel soggetto, ciò che davvero serve è una ‘trasformazione strutturale’ nell’organizzazione del lavoro che deve riuscire a produrre un sistema con maggiore focalizzazione e specializzazione. Ma sia chiaro: un sistema pubblico, solo pubblico, niente altro che pubblico”.

 “Le persone che si rivolgono alla nostra Organizzazione ci dicono che c’è bisogno di più Servizio sanitario pubblico, più accessibile, più efficiente e più equo – ha dichiarato Tonino Aceti, coordinatore di Cittadinanzattiva – . Segnalano l’esigenza di rilanciare gli investimenti nel personale sanitario che è stato pesantemente ridotto in questi anni, di contrastare il fenomeno fuori controllo delle liste d’attesa e di governare di più l’intramoenia. Ma non solo: tra le priorità rientra soprattutto l’abrogazione del superticket, nostro cavallo di battaglia, e il netto contrasto delle disuguaglianze nell’accesso alla salute tra le diverse aree del Paese e all’interno di uno stesso territorio”.

 “Il sodalizio RBM Salute-Censis – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – si configura come un collaudato team di pallavolo: il prestigioso istituto di ricerca alza la palla, producendo ogni anno dati sempre più allarmanti e la compagnia assicurativa schiaccia sempre nella stessa direzione: la necessità di un “secondo pilastro” intermediato da fondi e assicurazioni è ormai inderogabile per ridurre la spesa delle famiglie e garantire la sostenibilità del servizio sanitario nazionale”.

Dai cittadini invece, afferma ancora Aceti, arriva la domanda forte di correttivi a un Servizio sanitario comunque da salvaguardare e rilanciare e rispetto ai fondi integrativi, che sono una realtà prevista dalla normativa, alcuni studi iniziano a far emergere evidenze, che a fronte di agevolazioni previsti per gli stessi dallo Stato, la loro attività sarebbe anche sostitutiva e non solo integrativa, come invece prevedrebbe la normativa.

“Auspichiamo – afferma Aceti – che i fondi forniscano massima disponibilità in questa attività al ministero della Salute per mostrare che, dati alla mano, a fronte dei benefici fiscali corrispondano benefici anche in termini di salute per i cittadini che utilizzano queste prestazioni integrative e cioè non coperte dal Ssn. Nella direzione di una maggiore attività di verifica anche la recente indicazione della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione”.

“Lo “spacchettamento” della spesa delle famiglie – precisa Cartabellotta – confuta di fatto l’ipotesi che gli esborsi dei cittadini siano destinati esclusivamente a fronteggiare le minori tutele pubbliche: infatti, almeno il 40% non viene speso per beni e servizi indispensabili a migliorare lo stato di salute, bensì soddisfa bisogni indotti dal benessere e dalla medicalizzazione della società e condizionati da consumismo, pseudo-diagnosi e preferenze individuali”.

La controprova è fornita dal fatto che nelle diverse Regioni la spesa out-of-pocket è proporzionale al reddito pro-capite e alla qualità dell’offerta pubblica: in altre parole, le famiglie spendono di più nelle Regioni del nord dove l’offerta dei servizi sanitari pubblici è adeguata, mentre quelle del sud si attestano tutte sotto la media, nonostante una qualità peggiore dei servizi.

Infine, la strategia di persuasione collettiva che punta dritta al “secondo pilastro” prova a sensibilizzare il nuovo Esecutivo “personalizzando” i risultati dell’indagine Censis, da cui emergerebbe un “maggior rancore degli elettori di 5 Stelle e Lega nei confronti della sanità”, considerata il “cantiere con cui gli italiani metteranno alla prova il passaggio dal rancore alla speranza del cambiamento”.

“Peccato (per loro) – afferma ancora Gimbe – che il contratto del Governo del cambiamento afferma senza indugi che ‘è prioritario preservare l’attuale modello di gestione del servizio sanitario a finanziamento prevalentemente pubblico e tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale’, per cui la vera ‘prova di esame, conclude Cartabellotta, non è affatto rappresentata dall’espansione del secondo pilastro, quanto invece dal rilancio del finanziamento pubblico, peraltro annunciato anche dal Premier Conte nel discorso per la fiducia al Senato”.

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